Scusate l’errore: il Wsj boccia Monti
Così non va. E non solo perché le famiglie cominciano a sentirsi strangolate. Non va perché la tanto decantata rivoluzione di Monti è finita prima ancora di cominciare. E alla gente che si sta sacrificando non si regala neppure un barlume di speranza, i giovani erano e resteranno disoccupati, le imprese erano e resteranno ingessate. Qui non è questione di dipietrismo o grillismo, di populismo più o meno becero. Ad avercela (e parecchio) con Monti sono pressapoco tutti, dagli industriali agli operai, dalle forze politiche che non hanno accettato lo zuccherino regalato a Bersani, alla stampa estera, la stessa che poche settimane fa aveva beatificato il “professore”. Il Wall Street Journal è tornato ad attaccare Monti, scusandosi per averlo erroneamente paragonato alla Thatcher. Ma quale Thatcher, fra i due ci passa l’oceano, è la tesi di fondo, perché Super Mario è come quei talenti sportivi che non sono mai riusciti a esplodere. No, così non va e se il governo non cambia registro rischia di restare all’angolo, isolato, piegato dalla sconfitta politica e mediatica. E sarà difficile recuperare credibilità.
La stagione degli scioperi
Il “lodo” Fornero non piace praticamente a nessuno. Anche la Cgil, che secondo molti ha avuto un ruolo da regista in tutta la metamorfosi del Pd e, pertanto, è stato l’artefice primo in materia di reiserimento per i licenziati per motivi economici insussistenti, storce la bocca e conferma la mobilitazione in atto, compreso il pacchetto di 16 ore di scioperi. L’apprezzamento, se c’è, è limitato alla sospensione della raccolta di firme avviata qualche giorno addietro. Troppo poco per individuare un cambio di passo. Anche perché non si rinuncia a lavorare, durante i percorso parlamentare, per modificare ulteriormente il disegno di legge. Il che fa pensare che il Pd non starà con le mani in mano.
Percorso a rischio
Quello parlamentare sarà quindi un percorso a rischio. Il Pdl, che pure a rassicurato più volte Monti sul sostegno al governo, ha fatto sapere che si farà promotore di sette modifiche, per ripristinare la flessibilità in entrata, abbattere l’aumento contributivo a carico delle piccole imprese e creare ricadute virtuose reali in materia di aumento dei posti di lavoro. Il premier invita le imprese ad assumersi la loro responsabilità e sostiene che «tre mesi fa Confindustria si sognava una riforma così», ma Emma Marcegaglia non gli fa sconti: «Quando fai una riforma che dovrebbe convincere le imprese ad assumere di più e hai tutte le imprese che sono deluse e che pensano che questa riforma riduca l’occupazione evidentemente un problema c’è». Una bocciatura totale, mentre Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, osserva che «sull’articolo 18 trovare un equilibrio è molto difficile. La prova dell’efficacia delle modifiche la si avrà sulla base della reazione dei mercati, dallo spread». E, manco a dirlo, lo spread, a Borse chiuse per il venerdì di Pasqua, ha aperto in netto rialzo: 372 punti.
Il Wsj attacca Monti
Delusione in Italia, ma delusione anche all’estero. La stampa economica, che in un primo momento aveva battuto le mani al governo Monti, adesso ha cambiato idea. In un editoriale intitolato «come ci si arrende all’italiana» il Wall Street Journal fa autocritica e sostiene che «è tempo di ritirare le lodi al premier». Quindi, lascia intendere, scusateci per i paragoni con Margaret Thatcher degli scorsi giorni. Il confronto più giusto «potrebbe essere con Ted Heath», il più malleabile predecessore della Lady di Ferro. Poi la conclusione: «Monti è stato selezionato per allontanare l’Italia dalla soglia del baratro greco, ma le modifiche introdotte alla riforma del lavoro sono una resa a quanti stanno portando l’Italia in fondo all’abisso». Un quadro che, con la stampa italiana letteralmente in ginocchio di fronte al presidente del Consiglio, aiuta a capire quali sono realmente i termini della questione.
Tre tasse al giorno…
Nel momento in cui si mette in piedi una riforma per aiutare le imprese ad assumere, infatti, da una parte si riduce la flessibilità in entrata e dall’altra si riduce al minimo quella in uscita. Ma anche il resto lascia perplessi. Le modifiche agli ammortizzatori sociali, per certi versi condivisibili, vengono finanziati con tre nuove tasse: una di due euro sui biglietti aerei, un’altra basata sulla riduzione della deducibilità dei costi auto di imprese e professionisti, una terza che inasprisce il prelievo sugli affitti. I tecnici al governo confermano di non avere nessuna immaginazione: applicano le regole e tirano le somme. Così, per compensare le maggiori uscite, non tagliano la spesa pubblica parassitaria e clientelare ma si affidano al comodo prelievo fiscale non rendendosi conto che di questo passo lo Stato finirà per incamerare una parte tanto importante del reddito disponibile degli italiani da non consentire ai cittadini una vita libera e dignitosa. Forse è anche per questo che Giuliano Cazzola ha parlato di «svolta all’indietro», originata da una visione che «riporta le lancette della storia a ritroso di almeno vent’anni». Riflessione in qualche modo condivisa sul Corriere della Sera da Alberto Alesina e Andrea Ichino, secondo i quali in certi casi riforme «fatte a metà peggiorano la situazione e sarebbe meglio non iniziarle nemmeno». Prima, infatti, c’era l’attesa per una riforma in preparazione, adesso, invece, si è ingessata la situazione per altri vent’anni.