I periti indiani: «I marò uccisero»
Si mette male per i nostri due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, prigionieri in India dal 15 febbraio con l’accusa di aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati. Ieri infatti la polizia indiana ha confermato le indiscrezioni sulla perizia sui fucili sequestrati a bordo della “Enrica Lexie”, perizia da cui risulterebbe che da due di questi sono partiti i proiettili che hanno ucciso. Non c’è dichiarazione ufficiale, ma il contenuto del rapporto del laboratorio della polizia è filtrato. «I periti – scrive l’agenzia Pti – hanno lavorato su otto fucili identificando i due da cui sono partiti i proiettili mortali». Citando il rapporto preparato a Trivandrum e consegnato al giudice istruttore di Killam e al responsabile del Gruppo investigativo speciale di Kochi, l’agenzia indica che «la polizia ha sequestrato dopo l’incidente sei fucili Beretta e due mitragliette Fn Minimi di fabbricazione belga fra le quindici armi e i 10.000 proiettili presenti sulla nave». I due fucili Beretta utilizzati per commettere il reato – si dice ancora – «sono stati identificati dopo test scientifici». «Abbiamo potuto identificare le due armi – sostengono i periti – dopo aver esaminato i proiettili recuperati dai cadaveri delle vittime. Nessun arma da cecchino è stata utilizzata per l’uccisione dei pescatori. E non abbiamo localizzato – concludono gli esperti – alcuna alterazione nel materiale sequestrato». Strane queste precisazioni sull’arma da cecchino e sulle alterazioni delle armi. Alla perizia non ha potuto partecipare personale tecnico italiano. Più preciso The Times of India: il direttore del laboratorio scientifico della polizia di Trivandrum ha detto al giornale che «coincidono il tipo di scanalature sui proiettili che erano nei corpi dei pescatori e su quelli sparati nei test di due fucili Beretta Arx 160. Dopo aver condotto accurati test sui sei fucili Beretta sequestrati – ha continuato – il laboratorio ha identificato i due usati per uccidere i pescatori».
Il governo italiano «aspetta i risultati ufficiali per commentare formalmente». Lo ha detto il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura. In ogni caso, «qualunque sia il risultato balistico» posso riconfermare quanto detto a più riprese a tutti i livelli dal governo italiano: «anche se le pallottole che hanno ucciso i pescatori del Kerala fossero italiane, un eventuale giudizio su un incidente non voluto dovrebbe essere esclusivamente fatto in Italia, perchè i marò sono soldati italiani e non possono essere giudicati per aver fatto il loro dovere su mandato italiano e internazionale, eccetto che nel proprio Paese».
«Incredibile faciloneria»: così Luigi Di Stefano, perito di lungo corso, giudica la perizia svolta in India. «La prima cosa da dire è quale sia il calibro, non la rigatura. E qui non dicono nulla del calibro, mentre il 3 marzo avevano indicato un calibro misura 7,62». La stranezza – sottolinea Di Stefano – è che «il calibro 7,62 per 54r è di un fucile sovietico. Mentre il calibro in dotazione alle forze Nato è 5,56 per 45. Questo punto – aggiunge – non è mai stato spiegato, e la rigatura: non fornisce alcuna prova».
Andrea Margelletti, presidente del Cesi (Centro Studi Internazionali), afferma che «in questo modo si chiudono ulteriormente i margini per una via d’uscita politica della vicenda. Nessuno ha mai chiesto l’impunità dei marò ma, visto che l’incidente si è verificato in acque internazionali, devono essere giudicati in Italia. E questo è totalmente ininfluente dai risultati delle perizie. Qui si discute soltanto su dove il processo debba essere svolto. Se prevale da parte indiana il principio che la giurisdizione passa dal diritto internazionale al diritto locale, ci saranno conseguenze sulla possibilità stessa di compiere operazioni di stabilità nel mondo…». Intanto la Corte Suprema indiana ha ammesso il ricorso dell’armatore della “Enrica Lexie” contro il precedente verdetto di un tribunale del Kerala che bloccava la partenza della nave. I giudici hanno aggiornato l’udienza al 20 aprile.