Niente modello Glasgow: la sinistra persevera negli errori e riparte sempre da zero
Neppure un timido tentativo di imitare Barcellona. Nonostante le potenzialità, gli studi sui ritorni economici e sui risvolti in campo turistico, Napoli non è mai riuscita a imporsi come sede internazionale di grandi eventi. E ogni volta si riparte sempre da zero, con le dichiarazioni di maniera di politici e imprenditori partenopei che parlano di nuove ipotesi sul tappeto, sempre in prospettiva futura, senza fermarsi un attimo per capire gli errori commessi dal centrosinistra negli ultimi decenni, errori che hanno compromesso il rilancio. Di mega-eventi, infatti, la città ne ha ospitati tanti e tutti dovevano costituire una grande opportunità per l’immancabile rilancio di Napoli. Non ne è rimasto nulla tranne lunghi strascichi di polemiche e qualche sfiancante e sterile processo giudiziario. Dappertutto i grandi eventi costituiscono un acceleratore della trasformazione urbana e un catalizzatore volto a implementare la visibilità della città. Glasgow, Barcellona, Baltimora e Genova hanno recuperato e rivitalizzato i vecchi bacini portuali con attività terziarie e servizi, dai Centri congressi agli acquari, dagli Science center ai musei del mare e della navigazione.
Nel capoluogo campano le grandi manifestazioni servono invece a celare il vuoto programmatico, diventano strumento di lotta e propaganda politica, di privatizzazione dei finanziamenti pubblici.
La ribalta mass-mediatica al momento è occupata molto dal Barnum della regata velica – forse un preliminare dell’America’s cup – e un po’ dal Forum Internazionale delle Culture. Due macro eventi privi di qualsiasi aggancio a un organico disegno di sviluppo locale e di sostanziale miglioria dell’immagine. Della prima, queste pagine hanno già raccontato le vicende tragicomiche della mancata bonifica di Bagnoli e della delocalizzazione della regata in altro sito. Della seconda, al momento ancora una scatola vuota, si ricorda per la cacciata dalla poltrona presidenziale di Nicola Oddati, ex assessore alla Cultura della giunta Iervolino; le dimissioni dalla carica da presidente della Fondazione del cantautore Roberto Vecchioni per le polemiche sul suo compenso; la presidenza ombra (nominato ma non ha mai accettato la designazione) di Sergio Marotta, vice capo di Gabinetto al Comune di Napoli. Anche l’ambasciatore Francesco Caruso direttore generale del Forum universale delle Culture, ha rassegnato le dimissioni dal suo incarico non senza polemiche.
Le ragioni dell’abbandono – ha dichiarato l’ex direttore generale – sono da ricercarsi nel fatto che la Fondazione per il Forum è «completamente sprovvista dei mezzi strumenti necessari ed è oggetto di continue incursioni avventuristiche e provinciali». In questa atmosfera di smobilitazione generale, dopo Peppe Barra, il popolare attore-cantante, anche l’autorevole storico Paolo Macry ha lasciato il Comitato tecnico scientifico della Fondazione. E che si tratterà di un evento in sedicesimo lo si rileva dal brutale taglio dei finanziamenti, passati da 150 a 15 milioni di euro. Naturalmente non ci sarà nessuna ricaduta in termini di riqualificazione urbana né a Bagnoli né altrove e le manifestazioni si terranno nella Mostra d’Oltremare e nel centro storico.
La situazione certo non è delle più idilliache. Il 2013 è ormai alle porte e Napoli rischia di non poter essere, anche se solo per 101 giorni, la “capitale mondiale delle culture”. Finanche il sindaco De Magistris, nell’assumere anche la presidenza del Forum, non ha nascosto le sue preoccupazioni per aver «ereditato una Fondazione piena di debiti e con profili di illegalità, una sovrastruttura non più utile ma che appesantisce». Dato però che il sindacato di De Magistris si accinge a spegnere la prima candelina di compleanno, non si riesce a comprendere perché solo oggi, il magistrato prestato alla politica si sia accorto di tali anomalie. Certo è che a qualcuno sarà tornata utile, visto che la Fondazione ha totalizzato oltre 5 milioni di debiti.
In tali condizioni, non si può neanche lontanamente immaginare che i “grandi” eventi in procinto di essere realizzati a Napoli possano determinare effetti duraturi sul modello socio-economico della città. Avremmo dovuto assistere a una strenua competizione tra città, Regione e grandi centri dell’area metropolitana sulle strategie, sul citymarkerting, sugli investimenti nei bilanci locali, sulla capacità d’integrare pubblico e privato. All’orizzonte non c’è nulla di tutto ciò, se non un patto di collaborazione Comune-Regione per l’utilizzo dei fondi europei. Troppo poco. Purtroppo l’amministrazione De Magistris, nei fatti, si sta dimostrando degna erede della scriteriata compagine del sindaco Iervolino. E la mancanza di convincenti strategie di sviluppo ne è la solare dimostrazione.