Ma quale miracolo, siamo in recessione
Passata la festa, duranta un po’ troppo, bevuto lo champagne e fatti i viaggi all’estero, messi alle spalle gli spot tipo Salva.Italia e Cresci-Italia, che sapevano tanto dei siparietti del vecchio e rimpianto Carosello, si torna a parlare in modo serio. Innanzitutto con un’ammissione: al di là di quanto ha raccontato per settimane il coro dei giornalisti inginocchiati davanti all’avvento di Monti, il governo dei tecnici non cammina sulle acque. Non c’è stato il miracolo: «La recessione c’è e durerà per l’intero 2012» con tanto di conseguenze negative. Il ministro Corrado Passera, in audizione nella commissione Bilancio della Camera, tratteggia un futuro denso di incognite. Non c’è alternativa a una «accelerata sulle riforme strutturali» in modo da agire sulle leve della crescita e «uscire il più rapidamente possibile dalla situazione di crisi». Uno scenario facile immaginare ma difficilissimo da attuare, con la stretta creditizia in atto e con il Paese impoverito da una pressione fiscale che ormai ci pone ai primi posti nel mondo per incidenza delle tasse sul Prodotto interno lordo. Tutto questo senza che il debito pubblico accenni a diminuire. Anzi, ogni minuto che passa il Paese si trova con un milione di euro di debiti in più.
I problemi delle imprese
Nel contempo le imprese, che vantano circa 60 miliardi di crediti nei confronti della pubblica amministrazione, hanno difficoltà a riscuotere e lo stesso Passera considererebbe un successo se nei prossimi 12 mesi fosse possibile mettere mano al portafogli per restituire all’economia produttiva almeno la metà di quanto dovuto. Una spinta alla ripresa che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe arrivare anche dall’attivazione di 40 o 50 miliardi di lavori in infrastrutture e progetti già esistenti. La parola d’ordine è essere competitivi e l’Italia non lo è. Passera appare cosciente di questo stato di cose, anche se dice di non credere alla rappresentatività di quelle classifiche che ci «pongono tra l’ottantesimo e il novantesimo posto in fatto di attrattività degli investimenti esteri». Forse non è così, ma certo l’Italia non brilla per capacità di attirare investimenti. Colpa del fisco iniquo, della burocrazia, della mancanza di infrastrutture e delle ingessature che impediscono l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro e, allo stesso tempo, abbattono la flessibilità in uscita. Il governo Monti ha già varato una riforma del mercato del lavoro, ma i tempi per l’approvazione sono meno brevi di quanto sarebbe stato necessario e tutto lascia intendere che nel corso del dibattito parlamentare il progetto Fornero finirà per essere stravolto. «La controriforma non passerà», ha detto ieri Susanna Camusso, leader della Cgil. Così lo spread rispetto ai Bund tedeschi, dopo che nella scorsa settimana era sceso a meno di 300 punti base, ieri è tornato a salire fino a quota 350.
L’Eurispes vede nero
Dopo quattro mesi di governo Monti e il gran parlare di riforme epocali la situazione resta quella di sempre. C’è stata una riforma delle pensioni che ha impressionato i mercati, poi tutto è sembrato tornare come prima. Il Paese non gira e l’Eurispes, che ieri ha presentato il proprio rapporto, prova a spiegarne il perché. Nel 2010 l’Italia ha generato 529 miliardi di euro di sommerso e nel 2001 la cifra dovrebbe essere addirittura aumentata fino a quota 540 miliardi, In questa situazione chi non faceva il proprio dovere di fronte al fisco continua a non farlo, mentre chi ieri pagava troppo oggi paga ancora di più. Uno stato di cose che non può continuare. Ci sono almeno sei milioni di lavoratori dipendenti che per arrivare a fine mese devono fare il doppio lavoro per condurre una vita dignitosa (ogni famiglia, sostiene l’Eurispes, composta di quattro persone ha bisogno in questo Paese di non meno di 2.523 euro al mese, cifra che viene appena raggiunta quando sono in due a lavorare).