Veltroni spacca il Pd sul governo Monti e sull’articolo 18
Stavolta Walter l’ha combinata grossa. L’intervista a Repubblica («sì alle modifiche all’articolo 18», «per non consegnare Monti alla destra») ha avuto un effetto deflagrante per il Partito democratico.
Ieri è arrivata sull’Unità la replica del responsabile delle politiche economiche del Pd, Stefano Fassina, un segnale per liquidare come eretica la posizione veltroniana. «Se il programma del governo Monti è l’orizzonte di una forza progressista come il Pd, allora delle due l’una: o il Pdl, che insieme a noi sostiene il governo Monti, è diventato un partito progressista, oppure la tua valutazione è sbagliata». E ancora: «Se fosse giusta dovremmo essere conseguenti. Alle prossime elezioni il Pd dovrebbe presentarsi insieme al Pdl, oltre che al Terzo Polo: una sorta di partito unico del pensiero unico. La fine della politica, non solo della democrazia». Per il responsabile Economia del Pd l’azione del governo Monti non può essere considerata progressista né riformista. «Caro Walter, per valutare il tasso di riformismo del governo Monti dovremmo ricordare che il decreto “Salva Italia”, oltre al brutale e iniquo intervento sulle pensioni di anzianità, ha introdotto maggiori imposte per circa 40 miliardi all’anno». Decisioni che vanno in «direzione opposta» rispetto alle proposte votate dal Pd nell’assemblea di Varese. Infine sul lavoro, Fassina dice che sull’articolo 18 «la posizione del Pd è diversa dalla tua, ovviamente legittima, ma minoritaria nel partito».
Ieri Veltroni ha tentato di aggiustare il tiro: «Il problema non è l’articolo 18, sul quale ho detto molto meno di quanto detto mille volte da Bersani. Il problema è il giudizio su Monti». Sull’articolo 18, «bisogna avere il coraggio di discuterne. E civilmente. Senza dire che una opinione diversa è una opinione del nemico. Teorie pericolose».
Ma l’intervista ha mandato su tutte le furie anche i prodiani: «Che nel partito democratico non tutti avessero a cuore le sorti del governo guidato da Romano Prodi, è una notizia che non ci sorprende. Ma leggere, nero su bianco, che Veltroni e D’Alema ne avessero fatto oggetto di confronto e conflitto ci colpisce davvero», hanno dichiarato, in una nota congiunta, i prodiani Zampa, Soliani e Santagata.
Con Veltroni solo pochi moderati
Una intervista che ha dato il via una guerra tra bande all’interno del partito. Emblematico che tra i più strenui difensori di Veltroni non ci siano ex Pci o Pds, ma una parte della minoranza “moderata” rappresentata da Paolo Gentiloni: «Ha ragione Veltroni quando invita il Pd a sostenere l’azione riformatrice del governo Monti anche sul mercato del lavoro. In particolare, dobbiamo condividere l’obiettivo di estendere nuove tutele a quei nove milioni di lavoratori dipendenti che oggi ne sono privi». Come pure dall’ex segretario Udc, oggi senatore Pd, Marco Follini che twitta il suo sostegno: «Concordo con Veltroni: il punto cruciale è l’appoggio a Monti. Per un grande partito riformista questo dovrebbe essere l’articolo 1». O Francesco Boccia, che parla di «indecente caccia all’uomo nei confronti» di Veltroni, «reo di aver detto una cosa che con i fatti sosteniamo ogni giorno in Parlamento: il governo Monti e le riforme strutturali».
Difensori d’ufficio che avallano la sensazione della base che l’ex sindaco di Roma si sia spostato perlomeno al centro. Tanto che, dagli altri partiti, accorre Pier Ferdinando Casini in soccorso dell’ex profeta del Lingotto. «Ho visto che qualcuno ha scomunicato Veltroni perché ha osato parlare dell’articolo 18. Speriamo che non lo mandino al rogo come le streghe». Per Casini, «quello che dice l’ex sindaco di Roma dimostra in pratica la mia tesi: ormai le vecchie caserme dei partiti sono piene di contraddizioni e non reggono più, c’è bisogno di libertà di ciascuno di esprimere le proprie opinioni. Che nel caso di Vendola sono molto diverse da quelle di Veltroni». Appunto il leader di Sinistra e libertà è piombato come un avvoltoio sulle dichiarazioni veltroniane, sentendo profumo di voti in fuga dal Pd, dritti dritti dalle sue parti: «Leggo le parole che dice Veltroni e sono trasecolato». Per il governatore pugliese «è una curiosa modernità quella che guarda con antipatia alla Fiom e con simpatia a Marchionne. È una singolare idea di modernità e di riformismo».
Bersani fa il pompiere
Se da una parte Vendola porta in alzo i calici dall’altra Pier Luigi Bersani è costretto a fare da pompiere e, per non sconfessare pubblicamente Veltroni, sfodera il “benaltrismo”. L’articolo 18? «Una discussione fuorviante» perché il punto non è «se il governo Monti sia di destra o di sinistra, ma come far uscire l’Italia dalla crisi». la priorità secondo i segretari regionali e provinciali del Pd riuniti ieri con Pierluigi Bersani è un’altra: il rischio di una bomba sociale ancora innescata rappresentata dalle imprese che chiudono e dalla precarietà del lavoro. Il segretario Pd ha fatto il punto su una crisi ancora non risolta. «Non si pensi che siamo usciti dall’emergenza» ed è fuorviante il dibattito se Monti sia di destra o di sinistra. Il problema è cosa serve al paese per uscire dall’emergenza». Per Bersani, «l’articolo 18 è l’ultimo dei problemi». Non è dello stesso avviso Sergio Cofferati. «La posizione di Veltroni – taglia corto l’ex segretario Cgil – è sbagliata e ha fatto bene Fassina a ricordarglielo. La nostra condizione economica è grave, siamo in recessione e c’è una sottovalutazione di quanto ci aspetta che mi preoccupa moltissimo».
Le chiavi del Lazio a Gasbarra
Per risollevare il morale delle truppe, ieri a tenere banco in casa Pd, c’è stata la vittoria alle primarie di Enrico Gasbarra come segretario laziale. Per l’ex presidente della Provincia è stata una pura formalità (oltre l’80 per cento delle preferenze) contro le candidature di “pesi piuma” come Marta Leonori (vicina all’ex presidente del Senato, Franco Marini) e Giovanni Bachelet (sponsorizzato dalla presidente del partito, Rosy Bindi). Secondo i dati offerti dal coordinamento laziale del partito avrebbero votato oltre 110mila persone nei 563 seggi aperti in tutta la regione. Il deputato “democrat” ha già fatto intendere che la rotta è quella indicata dalla bussola veltroniana. Voglio «portare nel centrosinistra i delusi del centrodestra, che sono tanti». Sempre che, nel frattempo, i delusi del centrosinistra non abbiano fatto il percorso inverso.