Tremonti esplora il labirinto della grande crisi
Quando Giulio Tremonti ha annunciato l’uscita di un suo nuovo libro, in molti si aspettavano di leggere una sorta di memoriale, condito di retroscena sull’ultimo governo Berlusconi. Invece il professor Tremonti ha preferito ancora una volta volare alto, pur mettendo a frutto, a beneficio dei suoi lettori, l’esperienza maturata da chi ha vissuto da protagonista gli anni terribili della crisi economica in atto.
Uscita di sicurezza è una lucida disamina di cosa è diventato il capitalismo e delle patologie congenite al sistema economico globalizzato. Punta a spiegare come la storia dell’umanità sia giunta a uno di quei “tornanti” che determinano epocali fratture dopo le quali nulla può più essere come prima. Tratteggia i contorni di una speranza ancora coltivabile, di una soluzione politicamente praticabile per rimettere in ordine le cose.
In Tremonti, infatti, vi è la consapevolezza fortissima che il peccato originale dell’economia globalizzata e delle classi dirigenti contemporanee sia la hubris, la tracotanza, l’assenza di limiti e regole, la fiducia cieca nel progresso, nel mercato e nella finanza propria dell’ideologia mercatista. Gli enormi fabbisogni di liquidità di cui necessitava la globalizzazione per funzionare, sono stati trovati nella moltiplicazione dei prodotti finanziari (swap, derivati, ecc…) che negli ultimi venti anni hanno fatto esplodere il volume della massa monetaria disponibile, forzando la leva del debito e scollegando il capitale circolante dall’economia reale, fino a renderlo autoreferenziale.
Se fino agli inizi degli anni ’90 le banche e le società di capitali andavano sui mercati per rastrellare risorse da investire in intraprese agricole, manifatturiere o commerciali, oggi lo scopo è diventato generare denaro da denaro, sfruttando le potenzialità degli hedge funds e delle operazioni over the counter completamente de-regolamentate. Faustianamente, le astruse formule algebriche attraverso cui si calcola il valore attuale di un derivato, hanno le sembianze di un rituale alchemico, accessibile solo a pochi iniziati, in grado di generare ricchezza dal nulla. Una ricchezza virtuale e artificiale, immensa: attualmente la massa finanziaria in circolazione è ben 8 volte superiore al valore del Pil mondiale. È di fronte a simili circostanze che si manifesta la tracotanza del capitalismo contemporaneo che, ricorda Tremonti, sembra aver dimenticato che il suo stesso nome trae origine dalla parola latina caput, ovvero bestiame, unità di misura assai concreta della ricchezza, diametralmente opposta alle astrazioni matematiche. Un capitalismo che ormai totalmente finanziarizzato, una volta esplosa la crisi dei subprime nel biennio 2007-2008, ha cominciato a divorare se stesso e soprattutto la ricchezza delle nazioni.
Tremonti afferma senza mezze misure che da allora poco si è fatto per correggere le molte storture. E quel poco che si è fatto ha aggravato la situazione, caricando sugli Stati, e quindi sui contribuenti, i debiti accumulati dalle banche ed estendendo ai debiti pubblici il contagio della crisi. L’ex ministro, quindi, riporta in allegato una sua lettera inviata nel 2008 all’allora ministro francese delle Finanze Christine Lagarde per proporle di cambiare le attuali «regole contabili suicide»; ricorda la proposta formulata dall’Italia al G8 dell’Aquila nel luglio 2009 affinché la comunità internazionale si dotasse di un “Global legal standard” e le molte aspettative andate disattese che ne erano scaturite; punta l’indice sul “Financial stability board”, l’organismo che avrebbe dovuto studiare le misure da adottare per mettere i mercati sotto controllo e la cui “mission” è andata completamente disattesa a causa delle ingerenze degli esponenti della finanza nella sua attività.
E qui si arriva all’altra questione cruciale trattata da Tremonti: il ruolo della politica. Essa è ormai completamente succube della finanza. Incapace di tenerne il passo, vista la velocità di azione dei mercati; vittima delle suggestioni ideologiche che essa ha imposto; prostrata dal potere di ingerenza delle élite finanziarie. Un mix di inettitudine, miopia intellettuale e soggezione alla moral suasion dei detentori del potere economico, che in particolare in Europa ha prodotto effetti devastanti, rendendo insostenibile il peso dei debiti sovrani. Con in più una Germania asserragliata in una strategia dal respiro corto, determinata a imporre il paradigma monetarista e rigorista a tutti gli altri partner, condannandoli alla recessione.
La sorpresa è che il Tremonti scrittore è molto lontano dallo stereotipo del ministro tutto teso a tenere i conti in ordine. Nel rivendicare, in tempi di retorica anticasta, la necessità di tornare al primato della politica, il professore valtellinese mette in guardia dall’avvento ormai prossimo di una pericolosa autocrazia finanziaria, con un richiamo alle potenzialità del pensiero comunitario (in cui sembra di riconoscere l’eco di comunitaristi americani quali Amitai Etzioni) e alla necessità di recuperare un apparato valoriale forte, cristiano e laico, al fine di dar vita a un progetto politico capace di generare un nuovo New Deal, che come nel 1933 ci faccia imboccare l’uscita di sicurezza. La nuova alleanza tra politica e cittadini, cui aggrappare le ultime speranze di evitare la disintegrazione dell’euro, dovrebbe basarsi su nuove regole da applicare ai mercati finanziari che mettano in mora l’utilizzo dei derivati; su rigorose politiche di bilancio; su di una nuova architettura costituzionale europea e su di un vasto programma di interventi pubblici da finanziare attraverso l’emissione di eurobond e che stimolino l’economia reale.
Un ambizioso programma neo-keynesiano insomma, o se si vuole una versione aggiornata dell’economia sociale di mercato, agli antipodi rispetto alle liberalizzazioni di Monti. Suggestivo. Come affascinanti sono i richiami alla tensione etica indispensabile a ridare respiro alla vita democratica dei popoli e ad affrontare con coraggio la situazione.
Rimangono, tuttavia, alcune domande alle quali questo libro non dà risposta: chi sono i satrapi della finanza che sabotano i tentativi di regolamentare il mercato globale? Dove trovare i soldi per finanziare gli interventi pubblici che propone l’ex ministro? Gli eurobond, che ancora oggi la Germania rifiuta, servirebbero ormai a sostenere i debiti sovrani, non essendoci più i margini per destinare le risorse raccolte verso nuovi investimenti. E infine, cos’è veramente accaduto questa estate, nei giorni precedenti l’invio agli inizi di agosto della famosa lettera della Bce al governo italiano e che ha messo in moto il processo che ha portato alla caduta di Berlusconi? La seconda edizione di Uscita di sicurezza, fornendo queste risposte, darebbe ulteriore forza alle proposte che contiene.