L’uomo da 8 miliardi adesso fa paura al Pd

30 Gen 2012 20:14 - di

Il tesoretto è pronto: 8 miliardi di euro, da giocare sul tavolo della crescita e del rilancio dell’economia italiana. Il vertice informale dei leader dell’Unione europea ha firmato l’assegno da 82 miliardi per lavoro e sviluppo a livello continentale. Di questi 7,9 sono destinati alla nostra penisola. A spiegare i dettagli tecnici, il portavoce della Commissione Ue. «L’Italia ha ancora a disposizione otto miliardi di euro – di finanziamenti europei stanziati dai Fondi regionale e sociale – che dovranno essere impegnati entro il 2013, per stimolare la crescita e la creazione di posti di lavoro». In particolare «l’Italia deve ancora programmare l’impiego di 4,326 miliardi di euro dal Fondo regionale europeo, e 3,674 miliardi del Fondo sociale, nell’ambito dei Fondi strutturali Ue 2007-2013». Un affare basato su un cofinanziamento che, di fatto, secondo la contabilità Ue porterebbe l’iniezione di finanza per l’economia nazionale a quasi 15 miliardi.
Risorse che il premier Mario Monti gestirà solo da tecnico? In pochi credono in Parlamento alla favola dell’esecutivo di asettici amministratori che, a mo’ di Cincinnato, torneranno al loro orticello alla fine della legislatura. Un tesoretto così, impiegato in maniera mirata, potrebbe diventare un formidabile strumento di indirizzo del consenso. Da qui l’apprensione bipartisan. Non c’è infatti solo il centrodestra a essere preoccupato di una discesa in campo del governo dei tecnici (magari appoggiati dal Terzo Polo).  
Per dirla con il Sole 24 ore di ieri, anche «nel Pd si fa strada una preoccupazione diversa da quella del centrodestra. Non la paura di perdere le prossime elezioni nel 2013, piuttosto il timore che a vincerle non sia Bersani ma un altro candidato-premier di diretta emanazione di questo governo: Mario Monti o Corrado Passera».
E proprio quest’ultimo potrebbe essere il candidato più pericoloso per il partito di Bersani. La superdelega allo Sviluppo economico e alle Infrastrutture ne fa il candidato ideale a gestire la pioggia di fondi sbloccati da Bruxelles.
La guerra all’uomo da otto miliardi di euro è già iniziata all’interno del governo. Da una parte Elsa Fornero, che in qualità di ministro del Welfare, ha punzecchiato Passera, colpevole «di troppo ottimismo». Per la ministra, «sulla crescita Passera ha la tendenza a gettare il cuore oltre l’ostacolo». Punture di spillo contro il banchiere prestato alla politica, che esterna a tutto campo. Dalla cittadina svizzera di Davos, per il tradizionale forum dell’economia globale, ha fatto sfoggio di ottimismo: «Tutti i problemi saranno affrontati con l’attenzione che meritano, compreso quello della flessibilità in uscita dall’occupazione, e saranno provvedimenti che sorprenderanno tutti», ha assicurato il ministro. Dichiarazioni per slogan, ottimismo sfrenato, piglio decisionista, tutte caratteristiche di chi vuole scendere in campo come politico puro.      
Forse è anche per questo che, a sorpresa, contro Passera si è schierata anche Repubblica, il cui editore, Carlo De Benedetti, è la “tessera numero uno” del partito di Bersani. L’articolo affidato al vicedirettore Massimo Giannini, in prima pagina sul supplemento Affari e finanza demolisce la gestione dell’affare Alitalia. Si parte dalla situazione grama della compagnia aerea nata dalla fusione tra Alitalia e Air One per denunciare un «clamoroso conflitto di interessi», «la concessione di un altro anno di regime speciale», «un aiuto di Stato che danneggia gli altri competitori». Un conflitto che vede tra i protagonisti, Catricalà e Pitruzzella, (ex e attuale responsabile dell’Antitrust). Ma nel mirino c’è lui, «il regista dell’operazione Cai di ieri (l’amministratore delegato di Banca Intesa), ministro dello sviluppo di oggi». Con una chiosa al curaro:  «Nel giorno dell’insediamento della squadra di Monti, avevano detto: “Misurateci dai fatti”. Li abbiamo misurati: sul salvataggio Alitalia, costato 4 miliardi e mezzo di euro ai contribuenti, sono già fuori rotta». Era dai tempi del governo Berlusconi che non si leggeva un attacco così pesante contro un ministro. Come se il partito di Repubblica (e quello di Bersani?) avessero cominciato a porre i loro paletti. Una cosa è certa, come preconizzato sull’Espresso da Massimo Cacciari: «Non avrà vita facile, ma se il governo tecnico arriverà fino al 2013, la vittoria andrà alla coalizione che lo candiderà a Palazzo Chigi». E se Monti dovesse farsi davvero da parte, allora l’ex presidente di Banca Intesa diventerebbe davvero l’avversario più temibile. Soprattutto per il Pd.

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