Errori e masochismo, così la politica cerca la bella morte
Più che suicidarsi, la classe politica italiana ha preferito spiaggiarsi, come una balena, per poi restare lì, impotente, a farsi fotografare come un souvenir turistico dai “tecnici” in vacanza di piacere nei palazzi del potere. Ogni tanto spruzza, per ricordare che esiste, ma il suo è un cadavere ingombrante, più che un corpo reattivo agli stimoli esterni.
Il governo Monti esiste da poco più di un mese ma arriva da molto lontano, da almeno un ventennio di governi politici intervallati da quelli del risanamento, i presunti salvatori della Patria, chiamati a rimediare agli errori degli eletti ma spesso protagonisti di operazioni di risanamento finanziario che hanno consegnato l’Italia agli speculatori e hanno affossato i fondamentali dell’economia, coniugando rigore e recessione: proprio come potrebbe accadere sotto le mani dell’esecutivo guidato dal premier bocconiano. Se ieri sono esistiti gli Amato, i Ciampi e i Dini e oggi esiste Monti, più che di cattiva amministrazione della cosa pubblica (di cui si sono macchiati sia i governi di centrosinistra e di centrodestra) la colpa è soprattutto di una periodica auto-scomunica che il ceto politico si infligge sia volontariamente che per involontari errori di percezione della sensibilità popolare, oltre che per banali omissioni o per opere di reciproca delegittimazione dei due schieramenti.
Legge elettorale e referendum
Consegnare materie delicate come la legge elettorale nelle mani di politici dalla finezza politica paragonabile a un allevatore di mucche padano, come Roberto Calderoli, s’è rivelato il peggiore boomerang contro la classe politica dell’ultima legislatura. Il cosiddetto “porcellum” nasceva con finalità condivisibili, ma con un grossa sottovalutazione delle conseguenze che avrebbe provocato sulla media-lunga distanza. L’idea di bloccare le candidature in liste preordinate dai partiti aveva lo scopo di assicurare una maggiore stabilità in un sistema che voleva blindarsi nel bipolarismo (meglio se bipartitismo) rendendo più omogenei gli schieramenti con la rappresentanza parlamentare ed evitando cambi di cavallo in corsa che avrebbero potuto mettere a repentaglio la stabilità politica del Paese. È accaduto invece che non solo il “porcellum” non ha evitato la transumanzia, ma la negazione di una relazione tra eletti e territorio, tra voto e consenso, tra rappresentanza e rappresentati, abbia innescato la miccia dell’anti-politica alimentando il distacco tra i Palazzo e il territorio fino al punto da consegnare quest’ultimo alla demagogia dei movimenti più o meno “movimentisti” e dei presunti “indignados”. Sempre sul fronte dell’anti-politica, non si può dimenticare l’autogol dei partiti dell’opposizione sul fronte referendario, visto che tutto ciò che oggi si propone come formula moralizzatrice della politica – riduzione dei parlamentari e funzioni diverse delle due Camere – era contenuta nella riforma costituzionale approvata dal secondo governo Berlusconi e che il centrosinistra volle bloccare solo in quanto etichettata come di matrice leghista. Oggi avrebbe fatto comodo, in tema di costi della politica, molto più che gridare allo scandalo per il prezzo della spigola al ristorante del Senato o del caffè alla buvettte della Camera.
La casta vera e presunta
È di queste ore l’ennesima polemica sugli stipendi dei parlamentari, dopo la pubblicazione di uno studio dell’Istat secondo cui gli emolumenti dei nostri politici sarebbero i più alti d’Europa. Al di là del merito della questione, di sicuro un altro errore madornale è stato quello di sottovalutare una questione che si poteva affrontare prima e senza demagogia, prima che finisse in pasto ai paladini dell’anti-politica. È evidente che se si parla solo dei compensi dei politici, e non di quelli dei manager di Stato, dei magistrati, dei docenti, se i giornali di ieri provano sugli emolumenti e la casta e non sui quattro suicidi per la crisi, per esempio, è colpa degli stessi politici, che hanno lasciato ai poteri forti “editoriali” togliendone a se stessi e autodelegittimandosi, fino al punto da essere utilizzato dai media contro se stessi, fino al punto da autoelevarsi a priorità dell’emergenza nazionale, lasciando ai tecnici (accademici superpagati) il compito di interpretare il ruolo dei moralizzatori.
La delega ai poteri “furbi”
Uno studio, pubblicato ieri da “New Scientist”, prende in esame le connessioni fra 43.060 multinazionali evidenziando un piccolo gruppo di 1.318 società transnazionali (la cui punta di diamante sono 147, tra cui Inicredito) che esercita un potere enorme, “sproporzionato” lo definiscono i relatori, sull’economia globale. Goldman Sachs, Barclays Bank e JPMorgan sono solo alcuni dei nomi delle corporation, quasi tutte finanziarie, che figurano ai primi 20 posti della “mappa del tesoro”. Gruppi per i quali hanno lavorato tanti di quei tecnici che oggi si propongono come i difensori dell’orgoglio nazionale e che ancora oggi pesano molto di più di un’intera classe politica costretta a restare nell’ombra, nell’angolino, colpevole di non aver fatto nulla per difendere la centralità e l’autonomia del Parlamento e l’indipendenza dei fattori di crescita economici, oggi appesi come cappi al collo dello spread, dei Btp, delle Borse e delle grandi multinazionali che fanno il bello e cattivo tempo, nel mondo, ma anche in Italia.
L’arroganza dei media stranieri
Lasciare l’Italia alla mercè della stampa estera, pronta a rilanciare sul piano internazionale qualsiasi soffio di critica dei referenti giornalistici italiani, è stato un altro pesante errore del centrodestra italiano. Errore che è costata la poltrona a Berlusconi e che oggi perfino il politologo di Yale, Joseph La Palombara, riconosce come madornale: «L’Italia non è stata trattata giustamente dalla stampa internazionale». «I fondamentali dell’economia italiana sono profondamente diversi da quelli della Grecia. Il fatto che la stampa internazionale non riesca a chiarire questo aspetto è grave, è pericoloso».«Non sono un grande amico dei governi tecnici – spiega La Palombara – il problema italiano, come del resto negli Stati Uniti, è un problema non solo economico, ma politico». Per questo, La Palombara, autore di saggi importanti sulla politica italiana, avrebbe «visto di buon occhio la presenza di un Gianni Letta o di un Giuliano Amato in questo governo».