Un papocchio. E la politica alza la testa
È il giorno dei «sì, ma». Il governo Monti va bene, «sì, ma la stangata deve cambiare». Il governo Monti ha portato i tecnici, «sì, ma c’è anche una questione sociale in ballo». Il governo Monti ha tanti professoroni, «sì, ma usano troppo le matite rosse e blu». I sindacati hanno mal di pancia, sul web si moltiplicano i link sui banchieri a Palazzo Chigi, cresce l’esigenza del ritorno alla politica, quella con la “p” maiuscola, chiamata a riequilibrare le cose, a rimettere un po’ d’ordine, perché tutti hanno la sensazione che ci sia un grande caos, con una corsa sfrenata ad accaparrarsi un ruolo da protagonista (non a caso Bersani ieri ha convocato i sindacati come se fosse lui il premier).
L’inversione di rotta
È necessaria una svolta sociale perché, ora come ora, ce n’è per tutti: la prima casa che torna sotto il torchio del fisco, le buste paga tartassate, l’Iva e le accise con il vento in poppa, i pensionati diventati oggetto di una delle più penalizzanti manovre degli ultimi anni. Chi già percepiva l’assegno si è vista congelata l’indicizzazione, quanti stavano per lasciare il lavoro hanno vistoil traguardo allontanarsi di più anni, i trattamenti di anzianità sono stati praticamente azzerati. Le donne equiparate agli uomini, con la perdita in tempi brevi di un diritto ormai consolidato. Il tutto senza nessuna contropartita in termini di servizi sociali aggiuntivi, di sgravi alla famiglia o di aiuti per i figli.
Il papocchio dei tecnici
E adesso tocca alla solita politica, quella che negli ultimi tempi si è fatto di tutto per delegittimare, porre qualche toppa. La cosiddetta casta ritorna sulla scena e può prendersi una rivincita: chiede più attenzione per le pensioni basse, pone il problema dell’eccessiva tassazione degli immobili, rileva iniquità e storture di un provvedimento che aveva scelto di colpire nel mucchio per incamerare un “bottino” maggiore. Siamo al papocchio vero e proprio o, se si preferisce, al cortocircuito. E sì, perché i politici che tornano sulla scena, con l’occhio rivolto ai bisogni della gente, in veste di “salvatori” della patria, lo stanno facendo all’interno del peggiore degli scenari possibili, mentre la grande stampa fa opera di distrazione di massa, mettendo sull’altro piatto della bilancia i privilegi. Così l’incompetenza dei professori passa in secondo piano e tutto si concentra sulla gogna mediatica a carico dei politici.
Il gioco dei poteri
Nel gioco dei poteri che contraddistingue da sempre la vita politica e il governo degli Stati si può dire che quanto si sta verificando in Italia è un caso di vera e propria scuola in questo senso: quando la politica è debole, gli altri poteri finiscono per avere il sopravvento e così, il più delle volte, viene meno quella capacità di mediazione che rappresenta il compito alto della politica, capace di coniugare le esigenze del mercato e dell’economia con le necessità della gente. Da qui il dovere di lavorare di cesello dove, invece, il tecnico è portato a usare l’accetta. Attorno a questo argomento si dibatte praticamente da sempre. Gianfranco Poggi, nel volume Il gioco dei poteri, edito da Il Mulino qualche anno fa, ha posto l’accento sui fenomeni e le forze che si fronteggiano e ne ha illustrato i rapporti reciproci.
L’evoluzione in negativo
Dal discorso emerge la tradizionale tripartizione che distingue tra potere politico, potere economico e potere ideologico. Di ciascuno viene presentato l’ambito sociale in cui si esplicava (politica, economia, cultura), le risorse e gli attori sociali protagonisti di tale conflitto (partiti, classi, ceti). Infine viene illustrato quel “gioco di poteri” che dà il titolo al libro, cioè la dinamica dei rapporti tra le diverse forme del potere stesso. Fin qui i paletti della questione. C’è il potere politico, quello economico e quello che dà la legittimità. Oggi, riflettendo proprio su questo, possiamo dire che il terzo potere prima era religioso, poi culturale e infine dei media. Con un’evoluzione negativa perché, guardando alla situazione italiana, il potere dei media si è alleato con quello economico contro il potere politico. Un paradosso.
A cavallo della crisi
Organi di stampa e potere economico, quindi. Ma non solo. La crisi internazionale e gli sviluppi sui mercati interni, lo spread tra Btp e Bund che ogni giorno conquistava nuovi record, uniti al ruolo di Berlusconi insediato a Palazzo Chigi, costituivano altrettanti elementi di una situazione che si è prestata a meraviglia agli sviluppi cui dopo abbiamo assistito. È bastato fare del Cavaliere il capro espiatorio di tutto ciò che di negativo avveniva sui mercati, radicare nella gente questa convinzione attraverso i media, attendere che sugli scenari internazionali si manifestasse qualche incrinatura con Angela Merkel e Nicolas Sarkozy e il gioco ha avuto la conclusione auspicata. Ma il diavolo spesso fa le pentole, non i coperchi. L’arrivo di Monti a Palazzo Chigi non solo non è riuscito a cloroformizzare i mercati, non ha nemmeno impresso quella svolta in termini di rigore, equità e sviluppo che era stato il suo slogan al momento dell’insediamento. Con l’arrivo della manovra e subito emerso che di sviluppo nemmeno si parlava, l’equità non veniva affrontata, il rigore era a senso unico. Gli evasori possono dormire tranquilli: per loro il governo tecnico non è stato che una tigre di carta.