Merkel e Sarkozy: per loro non vale il “teorema del Cav”

2 Dic 2011 20:28 - di

Massima autorità, massima responsabilità. Almeno a rigor di logica. Chi ha il potere, nel momento in cui fallisce, va sostituito, se le cose vanno male si cambia. È il teorema applicato – grazie soprattutto a una campagna di fango – a Berlusconi: “Non ha fronteggiato bene la crisi, deve dimettersi”. Ma è anche un teorema che, al contrario, non ha investito i maggiori responsabili di un’Europa ridotta al lumicino, specie in termini di credibilità: Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Ed è per questo che, l’asse Berlino-Parigi continua a dettare le regole in una partita a scacchi che si sta giocando su più tavoli: dal discorso di Sarkò a Tolone all’intervento di “Angie” al Bundestag, l’incontro all’Eliseo tra la stessa cancelliera e il presidente francese fissato per lunedì e il vertice dei 27 capi di Stato e di governo della Ue, in programma per l’8 e il 9 dicembre a Berlino. Con il “duo” ancora protagonista. È auspicabile che alla fine si trovi un’intesa sulle possibili modifiche ai trattati, ma è necessario che queste modifiche siano di qualità. In caso contrario si apre un periodo difficilissimo. «L’Europa rischia la fine», ha detto Sarkozy che, dopo aver ironizzato sui problemi italiani adesso si trova ad affrontarne di difficilissimi in casa, mentre la sua popolarità tra i francesi è scesa al 18 per cento. La Merkel ha sottolineato che «Eurolandia è seduta su una polveriera», per poi concludere: «L’Italia è responsabile del nostro futuro». E, comunque, per uscire dalla crisi «potrebbero volerci molti anni».

Le riforme da fare
Ha detto Sarkozy che, per riprendersi, l’Europa «dev’essere riformata, anzi rifondata». E la cancelliera tedesca ha sentenziato che servono «riforme strutturali, a cominciare dalla realizzazione di un’Unione fiscale. Intanto Berlino ha chiesto sanzioni automatiche per i Paesi con deficit eccessivi e per il momento esclude il ricorso agli eurobond e l’ipotesi di fare della Bce un prestatore di ultima istanza. «Non è la Fed americana o la Bank of England – ha detto la Merkel – nei trattati è stabilito che sia un’istituzione indipendente e io ne sono convinta». Regole rigide e la stella polare di un «meccanismo fiscale comune». La strada è quindi quella dei sacrifici per pervenire a un nuovo modello in grado di restituire tranquillità ai mercati. Purché si arrivi al traguardo prima di essere tutti morti. A furia di tirare la cinghia, infatti, si corre il rischio di entrare in agonia. Il modello che la Germania ci ha imposto in questi anni non ha funzionato e rischia di non funzionare ancora di più in futuro. Sarkozy che ha vinto le elezioni del 2007 sulla base dello slogan «lavorare di più per guadagnare di più», oggi si è accorto che tra guadagnare di meno e lavorare di più la seconda soluzione è quella da preferire: c’è la crisi ed «è tornata la paura». Il presidente francese nel suo discorso di Tolone ha puntato più volte l’accento su questo aspetto della questione e c’è da scommettere che di questo ragionamento ha fatto il filo conduttore delle sue interlocuzioni con la Merkel di queste ultime settimane. Al momento, però, non sembra riuscito a convincere la “cancelliera” della bontà dei suoi ragionamenti: Berlino non vuole che la Bce si metta a stampare denaro come ha fatto in passato la Fed e come vorrebbe Parigi e questo sembra un dato acquisito. E con queste premesse anche ripartire dal «lavoro», come vorrebbe il presidente dei francesi diventa abbastanza difficile.

Il fallimento di Maastricht
Maastricht si è dimostrato imperfetto – chiosa Sarkozy – bisogna rifondare lo spazio Schengen e rifondare l’Europa». Già, ma partendo da dove? Se non fosse preoccupante sarebbe davvero comico che a dare lezioni su quello che bisogna fare e su come farlo siano proprio coloro che in questi anni hanno condotto la barca portandola alla deriva. Proprio Francia e Germania, tra l’altro, nel 2003, con la complicità di Romano Prodi, allora presidente della Ue, hanno infranto per prime il patto di stabilità (che imponeva di mantenere il deficit pubblico sotto il 3 per cento del Pil) senza pagare pegno. «L’Italia – sottolinea Maurizio Gasparri, presidente del gruppo Pdl al Senato – deve difendere il suo ruolo. Di fronte alla crisi che investe sempre più l’euro e la Ue, c’è bisogno che la politica si assuma per intero le sue responsabilità. Ma dovrebbe essere ancora più forte l’autocritica di quanti, immersi nella retorica, non ascoltarono le osservazioni di tanti durante il percorso che ha portato all’euro e alle attuali insufficienti istituzioni europee. Siamo di fronte a una crisi epocale e le Nazioni di fatto tornano in primo piano. All’estero chi dà lezioni ha fatto molti errori». Merkel e Sarkozy, perciò, traggano le conclusioni e recitino il “mea culpa”. «Questa difficile riconversione dell’Europa – sottolinea Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl – non può essere fatta dal direttorio Francia-Germania e da due leader condizionati dalle rispettive esigenze  elettorali». A massima autorità, come detto, non può che corrispondere anche massima responsabilità. In caso contrario è difficile erigere un qualsiasi argine alla speculazione dotandosi di strumenti per impedire alla finanza di distruggere i governi e calpestare i popoli. Sono i governi che devono imporre le regole e la finanza che si deve adeguare, mentre in quest’ultimo periodo tutto questo non succede o succede al contrario, perché sono i mercati che fanno e disfano tutto. Si può dire che il potere del denaro sta svuotando la democrazia: i governi tecnici, imposti dall’andamento dello spread in sostituzione di quelli eletti dal popolo, sono lì a dimostrarlo.

Ostaggio dei mercati

Né l’Italia, né il resto d’Europa possono continuare ancora a lungo a essere tenuti in ostaggio dai mercati. Dice il Censis che al Belpaese serve «crescita e politica». La prima per consentirci di uscire dalla crisi, la seconda per restituirci quel diritto di rappresentanza che è proprio di ogni democrazia moderna. L’Europa deve essere utile a risolvere problemi non a crearne di nuovi. Invece proprio ieri le imprese italiane (Alleanza delle cooperative, Confindustria e Rete imprese Italia) hanno chiesto al governo Monti un intervento che ponga un qualche rimedio alle «modalità di ricapitalizzazione per le banche italiane indicate dall’Eba», con il calcolo del deficit patrimoniale che ingloba la valutazione «ai prezzi di mercato» dei titoli di stato detenuti in bilancio. Un dato esplosivo che rischia di peggiorare l’accesso al credito per imprese e famiglie. Berlino e Parigi, pensando alle loro banche con i portafogli stracolmi di titoli spazzatura, hanno messo in crisi anche le nostre che, a livello europeo, erano le uniche solide. La locomotiva europea, pilotata da Angie&Nicolas non solo non è in grado di proporci soluzioni, ma ci dà problemi.

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