Lotta alla Casta, ma pagano sempre i poveri Cristi

20 Dic 2011 20:37 - di

Hanno occupato i locali dopo che sono state recapitate nove lettere di licenziamento per sei camerieri, due cuochi e uno degli addetti alla tabaccheria che si trova all’interno di Palazzo Madama. La protesta di trenta dipendenti del ristorante del Senato è l’effetto paradossale della campagna contro i privilegi della Casta.
Il ridimensionamento del personale sembra essere una diretta conseguenza della progressiva riduzione dei coperti serviti dal ristorante, dovuta all’aumento dei prezzi che sono lievitati dopo che i quotidiani si erano occupati dei menù a prezzi super vantaggiosi pagati da chi può usufruire del servizio. Dal Senato, ha raccontato un cameriere, è stato chiamato il direttore commerciale della Gemeaz Cusin che gestisce tra l’altro il ristorante e la buvette di Palazzo Madama «per cercare di trovare una soluzione» e «stiamo aspettando una risposta. Abbiamo avvertito il presidente del Senato e i questori. Chiediamo che venga trovata una soluzione».
Non solo, dal 2012, davanti alla mensa del sesto piano di palazzo San Macuto sarà affisso il cartello chiuso. Causa i tagli alle spese della politica, non si metterà più tavola per dipendenti, gruppi parlamentari, consulenti e giornalisti. I lavoratori del servizio, nel Palazzo dove hanno sede le commissioni bicamerali e il Copasir sono finiti nel girone della moralizzazione della politica e nel mirino per gli affitti onerosi, dopo la rescissione del contratto di Palazzo Marini, a partire sempre dal 1 gennaio 2012, e della mensa di San Macuto. Un servizio, questo, gestito in appalto dalla Milano 90 dell’imprenditore Sergio Scarpellini. A rischio sono 23 dipendenti di Palazzo San Macuto e 4 della Caffetteria di vicolo Valdina assunti a tempo indeterminato dal 2003, da Milano 90. Stipendi in media sui mille euro al mese. Ora potrebbe scattare la cassa integrazione, che per il contratto del turismo è previsto in deroga, e legata alla disponibilità di fondi da parte della Regione Lazio. Il menu della mensa parte dai 5 euro per i dipendenti, fino ai 10 per i consulenti esterni, 14 per le persone ospiti di parlamentari. Comprende primo, secondo, contorno, frutta, bevanda. «Ma non si può considerare il ristorante interno come un privilegio – spiegano i lavoratori – ci sono tantissime aziende che hanno la mensa gli asili nido e altri servizi. Può essere una comodità, ma non è roba da Casta. Fa parte dell’organizzazione istituzionale». Lo stesso Scarpellini, in un’intervista al Fatto quotidiano, ha annunciato: «La Camera l’anno scorso ci ha inviato una lettera in cui diceva che avrebbe rescisso il contratto di Palazzo Marini entro quest’anno. Mi trovo così costretto a licenziare 350 persone». E se Montecitorio dovesse fare un passo indietro? «Se anche la Camera tornasse sui suoi passi, almeno duecento persone le dovrei mandare via comunque», ha tagliato corto l’imprenditore. 

Per la Fornero giornalisti «privilegiati»
L’ondata moralizzatrice (e demagogica) travolge tutto e tutti. La categoria dei giornalisti «sta sperimentando la durezza di un mondo che non fa sconti a nessuno», dopo «essersi avvalsa di privilegi» anche grazie «alla vicinanza al potere politico». È l’affondo del ministro del Welfare Elsa Fornero davanti alla platea riunita alla Federazione nazionale della stampa per celebrare i 100 anni dalla firma del primo contratto nazionale dei giornalisti. Un convegno che cade nel pieno dello scontro governo-sindacati sull’articolo 18 e che apre un nuovo fronte, con Fnsi, Inpgi e Ordine dei giornalisti schierati insieme contro il ministro. «La competizione vale nei settori produttivi perché le cose possono essere prodotte da noi o da altri, vale per l’idraulico e vale anche per i giornalisti», avverte Fornero, difendendo la riforma delle pensioni (è «equa») e sottolineando che anche l’Inpgi «ha problemi di sostenibilità, come quasi tutte le altre casse professionali». Enti che dovrebbero pensare non solo ai pensionati di oggi, ma «anche a quelli futuri. Nessuno può chiamarsi fuori dal riordino del sistema previdenziale». I giornalisti «hanno un solo privilegio: quello di guardare da tempo con attenzione alla sostenibilità dei conti per le future pensioni, ai giovani che sono indietro, precari e con stipendi incerti, a tutte le azioni possibili per rimettere in moto il mercato del lavoro», replica il segretario della Fnsi, Franco Siddi. Insorge anche il presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino: «Parlare di privilegi guadagnati grazie ad una collusione con la politica, vista come il male assoluto, significa fare affermazioni lontane mille miglia dalla mortificante realtà in cui operano migliaia di giovani che onorano il dovere costituzionale di garantire ai cittadini il diritto all’informazione». Per il presidente di Inpgi e Adepp, Andrea Camporese, le parole del ministro «denotano non solo la totale mancanza di conoscenza del settore, ma probabilmente logiche che non corrispondono alla verità ma ad un progetto ben preciso». L’Inpgi «ha conti in linea con le leggi e una sostenibilità certificata dai ministeri del Lavoro e dell’Economia», ribadisce il presidente della Casagit Daniele Cerrato. Qualche apertura arriva dal sottosegretario all’editoria Malinconico: il governo definirà «a gennaio» i nuovi criteri per la ripartizione dei fondi pubblici per il settore, colpito da pesanti tagli. Malinconico vedrà «nei prossimi giorni» gli edicolanti, che minacciano una serrata il 27, 28 e 29 dicembre contro la liberalizzazione dei punti vendita. E incontrerà i giornalisti di Liberazione, mobilitati dopo l’annuncio della sospensione delle pubblicazioni dal primo gennaio.

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