L’evoluzione dei tecno-com

16 Dic 2011 20:24 - di

Chiamatela pagliacciata, chiamatela demagogia, chiamatela offesa alla “sobrietà” del Parlamento, ma la deputata-operaia della Lega, Emanuela Munerato, che a Montecitorio ha espresso la sua dichiarazione di voto in tutta da lavoro, ha di fatto toccato un nervo scoperto. E la ragione delle tante critiche all’esponente del Carroccio (che operaia, peraltro, lo è davvero) non risiede tanto nella sacralità dell’aula violata dalle provocazioni leghiste, quanto piuttosto nella cattiva coscienza di una sinistra orfana dell’operaismo. E che, beffa delle beffe, ora deve sorbirsi persino un Presidente della Repubblica ex quadro comunista e già difensore dell’invasione sovietica di Budapest che dichiara come se nulla fosse: «L’Italia deve far fronte a grossi rischi per la propria finanza, per la propria economia. Deve riuscire a fare bene la sua parte per l’Europa e per se stessa, e quindi chiede sacrifici agli italiani di tutti i ceti sociali, anche agli italiani dei ceti meno abbienti, perché si facciano le scelte indispensabili al fine di preservare lo sviluppo della nostra economia e della nostra società in un clima di libertà e di maggiore giustizia». Capito? Stavolta anche i poveri devono pagare. Perché, fino ad ora che hanno fatto?

I precari di Veltroni
Le ultime sortite della sinistra istituzionale nel campo di quelli che una volta avrebbe chiamato “proletari”, del resto, sono sempre state piuttosto goffe e sgraziate. Bersani si limitò a farsi fotografare in maniche di camicia. Maniche arrotolate, per far vedere che il Pier è uno che si dà da fare. Ancora lo prendono in giro. Del Pci, infatti, Bersani conserva una certa mentalità burocratica, unita allo spirito un po’ strapaesano da vecchia Festa dell’Unità, ma quella capacità di interlocuzione con gli strati popolari che innegabilmente i comunisti hanno avuto per molto tempo l’ha proprio persa per strada. Prima di lui, del resto, Veltroni aveva fatto di peggio. Da direttore del giornale di partito sdoganò le figurine Panini e regalò videocassette: operazione nazionalpopolare, ma antitetica all’ascetismo spartano del vecchio operaismo. Da primo cittadino di Roma era stato accusato di essere il sindaco dei salotti, dei party, delle inaugurazioni e dei rinfreschi: era vero, anche se un certo presenzialismo si notò anche nelle strade, magari dopo certi fatti di cronaca. Faticava, ma ci provava. Il peggio di sé, invece, Walter lo tocco da segretario del Pd, quando per darsi un tono sociale studiò a tavolino le candidature con goffo spirito mediatico. Ne uscì fuori un’operazione posticcia, con “il” candidato precario, “il” candidato di colore, “il” candidato donna etc. messi in vetrina per strappare l’applauso. Ma il vero autogol Veltroni lo commise spacciando per giovane precaria da lanciare nel mondo della politica per cambiare il sistema clientelare l’esimia Marianna Madia. Che non fu pescata precisamente alla fila dell’ufficio di collocamento: ragazza di buonisima famiglia, era già legata a Enrico Letta tramite l’Arel, l’Agenzia ricerche e legislazione fondata da Nino Andreatta, e aveva anche buone entrature al Quirinale, essendo la ex ragazza del figlio di Napolitano.

La sinistra dei tecnodem
Insomma, il feeling con gli “umiliati e offesi” della società, da sempre vanto dei progressisti, ora sembra perso per sempre. Anche in passato, in verità, il rapporto privilegiato con le classi meno abbienti non è mai stato del tutto pacifico e scontato. Del resto, pensando a uno dei più tragici episodi degli anni di piombo, il rogo di Primavalle, c’è chi ha fatto notare come quella scena di lotta di classe vedesse i proletari tra i fasci (la famiglia Mattei) e i ricchi tra i rossi (il commando omicida, composto di figli di miliardari). Tanto per dire. Ma, anche in contesti meno tragici, la natura popolare della sinistra italiana tende decisamente a farsi desiderare. Non si tratta tanto e solo dell’abusata accusa di essere “radical chic”, che pure ha delle ragioni. È proprio un certo tipo di linguaggio che sembra ormai avvitato su se stesso, senza capacità di incidere al di fuori della casta politico-mediatico-intellettuale. Con tanto di tracollo finale e resa ormai incondizionata alle ragioni del libero mercato più triviale. È la sinistra che corteggia Montezemolo e Profumo. È la sinistra del: «Abbiamo una banca». Una barca, invece, già ce l’aveva, era quella di D’Alema. Il sostegno acritico e supino al governo Monti (ma ieri Bersani ha tentato un timido e tardivo smarcamento) ha fatto il resto. E così, dopo i teodem, dopo i modem, ecco spuntare la corrente finale e definitiva, sintesi ultima dell’avventura politica del Pd: i tecnodem. Il tecnodem è pratico, non sporca, ti fa fare bella figura nelle serate di gala e non ti fa vergognare in Europa. E se il popolo non ha il pane, trova sempre il tempo per portargli le brioche.

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