La stangata? Sui giornali sembra il piano Marshall

5 Dic 2011 20:30 - di

«Chiamatelo decreto Salva-Italia». Facile lavorare con un premier così premuroso. Ti organizza il lavoro prima: più che un professore della Bocconi sembra un maestro delle elementari, scandisce il dettato, sillabando. Come si può chiamare una manovra fiscale che congela le pensioni, che reintroduce l’Ici, che aumenta la benzina e l’Iva? «Mumble, mumble», operazione complicata da far invidia a Paperoga e Paperino al Papersera. Usare la parola “stangata”, che dai tempi del film con Robert Redford e Paul Newman tiene banco in ogni manovra dei governi politici? No, troppo scontato e banale. Ci vuole qualcosa di più tranquillizzante.
Un esecutivo tecnico, che fa della sobrietà la sua forza, non può etichettare la sua manovra fiscale come quella di un Tremonti qualsiasi. Da qui l’indicazione, l’amorevole suggerimento del maestro Monti Mario, ai giornalisti trattati come scolaretti.
L’avesse fatto Silvio Berlusconi, si fosse permesso di suggerire quale titolo dare l’indomani alla prima pagina (tanto per dire un giornale) de Il Messaggero, se la sarebbero presa parecchio a male. Come minimo in prima pagina sarebbe stata ospitata da un’intervista a Pierferdinando Casini, che avrebbe tuonato in difesa della libertà di stampa. Ieri, invece, il quotidiano di Caltagirone ha titolato esattamente come suggerito dal maestro di Varese. «Monti: ecco la manovra salva-Italia». E il Sole 24 Ore? Come avrà definito la manovra che non una sola misura prevede per la crescita? Un anodino «Casa, pensioni, Irap: ecco il decreto salva-Italia». Quei 17 miliardi di tasse? Il giornale della Marcegaglia li ha definiti «entrate». I 13 miliardi sottratti ai pensionati e alla sanità? Si trasformano in più discreti «tagli». E i creativi di Repubblica che titolo avranno mai escogitato? «Ecco il decreto salva-Italia». A leggere solo i titoli, sembra la cronaca di un nuovo piano Marshall. Pioggia di miliardi sull’Italia. Peccato che i soldi per salvare l’Italia debbano arrivare dalle tasche degli italiani.
A questo punto andrebbe ridimensionato perfino Silvio Berlusconi. Lui era un mago della comunicazione? Non scherziamo. Al confronto con il chiarissimo professore della Bocconi il Cavaliere diventa un dilettante da fiera di paese. Prendete la stessa scelta di Monti di non tenere la conferenza stampa a Palazzo Chigi, ma nella sala “polifunzionale” della sede distaccata del governo di via Santa Maria in Via. Come a dire: sono un’altra cosa. Segnali di cesura con il passato, per confezionare le stesse misure in un pacchetto nuovo. Un bravo maestro che si rispetti usa un linguaggio adatto a degli scolaretti, prese dai libri di Collodi. Era dai tempi di Pinocchio che non si parlava di «medicina amara». E le differenze con gli altri governi, in particolare con quello dell’innominabile Cavaliere, ci sono tutte: «In passato – ha detto suadente il maestro – ci sono state tante misure per salvare interessi particolari. Questo potete chiamarlo decreto salva-Italia».
E il termine «stangata», usato e abusato mille volte, per molto meno? Troppo cruento. La colonna sonora del film con Redford e Newman è troppo effervescente. Poco sobria: meglio immaginare un quartetto d’archi, un’aria classica alla Vivaldi o l’Inno alla gioia, per rimanere nel tema dell’Europa prima di tutto. Basti pensare che nell’archivio della rassegna stampa della Camera il termine «stangata» esiste 844 volte: di queste, in una decina di occasioni relativamente alle misure di questo esecutivo: una volta su questo giornale, due volte su La Padania, le altre volte su Il Giornale,  Libero e il manifesto. Per molto meno le altre 830 volte si era usato il termine stangata: come l’ultima volta che, nell’estate scorsa, il governo aveva aumentato le accise della benzina. In certi casi, come insegna Repubblica, il termine era ritenuto fin troppo soft: «È super stangata sugli statali». Datato 5 luglio 2011. Quelle misure in proporzione con queste, erano il prezzo di un caffè contro una cena in un ristorante di lusso.  
Poco importa, la macchina della propaganda montiana ha avviato un’antologia di «responsabilità», «dignità», «sobrietà». Le osservazioni devono essere «garbate» e rigorosamente «sobrie». Dimenticatevi i battibecchi con Silvio Berlusconi, le aggressioni verbali, gli intrusi che irrompevano in sala per insultare il Caimano. Dimenticate soprattutto la lezione di giornalismo anglosassone che Tana de Zulueta, da corrispondente dell’Economist, impartì ai colleghi italiani quando incalzava con domande al vetriolo prima il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga e poi Silvio Berlusconi. «Nel giornalismo anglosassone quando si intervista un leader politico si parte da questo approccio mentale: perché questo farabutto mi vuole imbrogliare? Voi italiani invece siete troppo accondiscenti con chi vi governa». E non c’era ancora Monti premier.

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