Il Corriere degli indulgenti perdona l’errore di Saviano
E vai col Corriere degli indulgenti, buonista e giustificazionista a corrente alternata. Lo scrittore Roberto Saviano ha commesso uno strafalcione grammaticale da matita blu in uno dei suoi seguitissimi messaggi su Twitter e le truppe cammellate del Corriere della Sera sono andate in suo soccorso, lo hanno perdonato, anzi elogiato. Ha scritto Saviano: «Khadz Kamalov, un giornalista coraggioso, è stato ucciso. Settanta giornalisti russi uccisi in Russia. Qual’è il peso specifico della libertà di parola?». L’evidente errore – qual è si scrive senza apostrofo: andare sul sito dell’Accademia della Crusca per verificare – ha dato il via libera sulle rete e sui blog alla querelle tra il partito dell’apostrofo e quello che l’apostrofo omette. Una cosa da grammatici, si dirà. Ma ciò che meraviglia è che arrivi l’assoluzione del Corriere dalla persona che meno ci si poteva aspettare, quel Beppe Severgnini “moralista” della lingua italiana, autore di libri che sarebbero piaciuti agli accademici della Crusca – uno su tutti Italiano-lezioni semiserie(Rizzoli) – e titolare del blog Italians che nell’articolo “Su Twitter gli errori fanno parte del gioco” subisce una strana (ma non troppo) metamorfosi.
L’editorialista che avrebbe bacchettato chiunque per qualsiasi erroretto, tranne Saviano, diceva del suo libro: «Ho scritto L’italiano – Lezioni semiserie per denunciare le violenze contro la nostra lingua, ma non chiedo condanne. Lo scopo è la riabilitazione. Scrivere bene si può. L’importante è capire chi scrive male, e regolarsi di conseguenza». Pagina 10: «Chi conosce la grammatica è più efficace di chi non la conosce. Il miraggio dell’originalità, di solito, porta solo alla confusione e all’incomprensibilità». Nell’introduzione al volume che è del 2007, leggiamo termini come «malavitosi della sintassi», «crimini linguistici».
Ieri, invece, il Severgnini che non t’aspetti, in vena di giustificazioni. Sembrava di leggere un’altra persona. Dr Jeckyll e Mr. Hyde. «Mi è piaciuto il tweet newyorkese di Roberto Saviano (77.657 followers). Per la sostanza, ovviamente; ma anche per quell’apostrofo di troppo («Qual è…»). Poi l’ha corretto, ma non deve vergognarsi: anzi. Tutti sbagliamo, e su Twitter non esistono correttori automatici (per fortuna). Non solo: quell’apostrofo è la prova che RS, i tweet, se li scrive da solo..».
Siamo ai complimenti. E Twitter giustifica tutto. Ora Saviano, scrittore di punta della scuderia di Repubblica al quale lo lega una collaborazione in esclusiva, può sbagliare quanto vuole perché la redazione riunita del Repubblichiere della Sera è ormai con evidenza su una linea rigorosamente giustificazionista. Con lui. Con altri meno affini, per così dire, sappiamo come va… Il meccanismo non è poi così criptico. Come quando il quotidiano giustificò le lacrime del ministro Fornero che faceva cassa con le pensioni, parlando addirittura del «cuore» che tornava nella politica. Ma se a piangere fosse stata un ministra del centrodestra, solo qualche mese prima, sappiamo bene che sorte le sarebbe toccata. Con la stessa disinvoltura terminologica del resto il Repubblichiere definisce decreto “salva-Italia” quel che avrebbe definito “stangata” in tempi non tanto passati.
Ottenuto il “perdono” per l’errore, Saviano non ha chiesto scusa per il refuso, in fondo uno che di professione fa lo scrittore avrebbe potuto farlo senza per questo sentirsi sminuito. Invece, con una “copertura” mediatica così forte ha rilanciato su Twitter con molta megalomania, paragonandosi ai mostri sacri della letteratura: «Ho deciso 🙂 continuerò a scrivere qual’è con l’apostrofo come Pirandello e Landolfi». Il dibattito in rete è debordante. Risponde Gianni Riotta: «Chiudo guerra apostrofi: io scrivo “qual è” come Migliorini-Moravia, ma è corretto scrivere “qual’è” come Fochi». Vai coi fuochi incrociati. Sul blog di Libero si legge: «Dal Corsera fiumi di bava su Roberto. Lui sbaglia l’apostrofo e lo elogiano pure». Molti interventi sono molto critici verso lo scrittore: «Ma da quando in qua? Ogni libro di grammatica dice qual è… dove hanno fatto le elementari?».
Se ci rivolgiamo alla “Cassazione”, ossia all’Accademia della Crusca leggiamo: «L’esatta grafia di qual è non prevede l’apostrofo in quanto si tratta di un’apocope vocalica, che si produce anche davanti a consonante (qual buon vento vi porta?) e non di un’elisione che invece si produce soltanto prima di una vocale (e l’apostrofo è il segno grafico che resta proprio nel caso dell’elisione). È vero che la grafia “qual’è” è diffusa e ricorrente anche nella stampa, ma per ora questo non è bastato a far cambiare la regola grafica che pertanto è consigliabile continuare a rispettare».
Va detto che la disputa se si debba osare o no l’apostrofo non è risolta né dalle grammatiche, né dalla letteratura. Sono per l’apostrofo, fra gli altri, Federigo Tozzi, Mario Tobino, Tommaso Landolfi, Paolo Monelli, Bonaventura Tecchi. Non apostrofano invece Vasco Pratolini, Giuseppe Berto, Alberto Moravia, Goffredo Parise, Libero Bigiaretti. Riperticando i termini della polemica, vediamo che ci sono due partiti: quello di Franco Fochi (fautore dell’apostrofo) e di Bruno Migliorini (che non ce lo vuole). Dice il Fochi che per quale «il troncamento è cosa del tutto finita, che appartiene alla storia, e non più all’uso della parola». Ed essendo il qual tronco una cosa storicamente morta, c’è solo il quale da elidere; perciò, apostrofo.
Per Bruno Migliorini: «Che si scriva un uomo e non un’uomo, un enorme peso e invece un’enorme ingiustizia è una distinzione non fondata sulla fonetica ma sulla schematizzazione dei grammatici. Distinzione artificiale è perciò quella fra “troncamento” ed “elisione”, ma una volta che questa distinzione si accetti, ne discende come un corollario ineluttabile che si debba scrivere senza apostrofo tal è, qual è… ». Sfogliando altri autori leggiamo. « E qual rispetto dal concessionario… » (Domenico Rea); « …senza qual sacro pudore» (Riccardo Bacchelli); «Qual testimone veridico… » (Carlo Emilio Gadda); « … qual più qual meno » (Virgilio Lilli). Le dispute grammaticali sono curiose e utili e non è certo il caso di usare toni da “crociata”. Quel che resta è l’automatismo smaccato con cui il quotidiano di via Solferino si trasforma in un Pronto Soccorso a fasi alterne.