Ascolti al 4%: finisce così la favoletta del “divino” Santoro
Un vecchio disco del 1985, un classico di Enrico Ruggeri, sta diventando il tormentone di Michele Santoro. Da quando gli sono stati comunicati i dati d’ascolto dell’ultima puntata di “Servizio pubblico”, il ritornello gli viene in mente di continuo e gli provoca un corto circuito: «Ma qual è stato il momento e perché tutto si è rotto dentro? Ma qual è stato l’istante e perché non c’è rimasto poco più di niente?». Proprio così, nonostante le collette e l’aiuto di tutta l’intellighenzia di sinistra per pubblicizzare il suo nuovo programma da “epurato”, all’uomo che era considerato il re dell’Auditel sono rimaste poche briciole. Non lo vede più nessuno (tranne amici, parenti e qualche fedelissimo). Uno choc per chi vantava milioni di telespettatori e sbandierava i dati Auditel per dire che poteva tutto e che nessuno doveva azzardarsi a mettere becco nelle sue trasmissioni o a criticarle, fosse anche il Papa. Giovedì sera Santoro ha ottenuto uno share pari al 4.99 per cento, uno share che di solito, in qualsiasi emittente, costringerebbe alla chiusura anticipata causa cattiveria del telecomando. Un crollo annunciato, perché da settimane si stava verificando un’emorragia di spettatori. Al debutto aveva sfiorato quota tre milioni e superato il 12 per cento di share, poi il declino: la seconda puntata aveva ottenuto il 10.42%, la terza puntata il 9.7%, la quarta l’8.08%. Ora il minimo storico. Per Sky la scusa è bell’e pronta: il sistema di rilevazione è inadeguato. Però si tratta dello stesso sistema che decretava il trionfo di Santoro quando conduceva “Annozero”. L’Auditel ha risposto subito: «Tutto è trasparente e moderno». Al di là dei battibecchi, è indiscutibile che Santoro non faccia più ascolti. Era comodo avere a disposizione la prima serata della Rai per fare comizi. Ben diverso è quando c’è da rimboccarsi le maniche. Peraltro, come cantavano i Rokes, “bisogna saper perdere”.