Da papi girl a Clarette: La Repubblica dei clichè
Il primo tentativo, quello del Messaggero con Maria Rosaria Rossi, era andato a vuoto. Il secondo invece è valso il titolo più ambito: «Con lui fino alla fine come Claretta». L’obiettivo l’ha centrato Antonello Caporale di Repubblica. Ieri è riuscito a farsi dire dalla deputata Barbara Mannucci che, sì, lei è come la Petacci. L’effetto finale è una bella somma di cliché, accumulata in un sol colpo: il premier come il Duce, le deputate che sono prima di tutto donne del capo, la retorica del martirio di fronte al tradimento. Ed è un effetto un po’ straniante, perché sembra disconoscere tanto la specifica drammaticità di questo momento quanto quella, non paragonabile, di ciò che si vide a piazzale Loreto. Ma tant’è, e per una Rossi che capisce il trappolone e lo schiva si trova una Mannucci che ci casca. Si trovano però anche tante esponenti del Pdl che rifiutano certe rappresentazioni e riportano i commenti sul piano politico.
Lasciamo stare la storia
Isabella Rauti ricorda che «questo è un momento difficile non soltanto per il governo e per il Pdl, ma per il Paese intero che ha bisogno della ripresa economica e di mantenere gli impegni assunti in Europa, e dall’Europa richiesti e apprezzati». Per la Rauti, dunque, «chiunque in questa fase insegua tramonti di impero invece che questioni politiche non fa un servizio al Paese e quella stampa che privilegia aspetti “intimistici” in analisi che devono rimanere esclusivamente politiche non fa un servizio all’informazione». Per questo la consigliera regionale del Lazio, che ha alle spalle un lungo percorso di militanza e di impegno nel campo delle pari opportunità, invita a lasciare «“le clarette”, la storia e i suoi protagonisti e protagoniste, agli storici di professione. Non è materia – sottolinea – da vulgate azzardate, populiste e soprattutto prive di senso».
«E invece parliamo di politica»
«Parliamo di politica e delle emergenze», esorta invece consigliera regionale, per la quale «ora dobbiamo impegnarci tutti per una rapida uscita dalla crisi e per approvare la legge di stabilità e le misure anti-crisi». Poi, aggiunge, «personalmente sento la necessità di rilanciare il progetto del Pdl, di andare alle elezioni, di sostenere la candidatura a premier di Angelino Alfano e di allargare la coalizione, ma senza inciuci e formazioni “contro natura”». Anche un’altra consigliera regionale del Lazio, Chiara Colosimo scavalca l’affaire Petacci per tornare sui temi politici: «Questa storia di Berlusconi che deve essere per forza un nuovo duce… Va bene che si avvicina al ventennio, ma tanto per cominciare lui è stato eletto da un voto popolare e ora speriamo che quel voto ci riporti al governo». Dunque, elezioni subito anche per lei, che si differenzia dalla collega per una preoccupazione: «Ho paura che una candidatura di Alfano nell’immediato rischi di bruciarlo». D’altra parte, chiarisce, «un esecutivo di larghe intese è impensabile, non siamo noi, ma i cittadini a decidere chi governa il Paese». Lei, comunque, per la sfida a Palazzo Chigi vorrebbe vedere un cambio generazionale: «Non voglio entrare nel merito della bravura di Renzi, ma contro Alfano se fosse lui il candidato del centrosinistra sarebbe un segnale. In questi giorni ho visto riemergere personaggi come La Malfa, Pomicino, Scotti. Mi sembrava – sottolinea – di essere tornata indietro di decenni».
È la stampa, bellezza
E rispetto a certe affermazioni? La Colosimo, classe 1986, spiega che quando le legge è percorsa da «un brivido freddo», ma anche che «purtroppo in alcuni casi ci sono personaggi del Pdl che, a prescindere dal fatto che siano uomini o donne, danno l’impressione di sentirsi a proprio agio nel ruolo di cortigiani o nell’immagine di un Pdl che ruota tutto intorno a un re». Detto ciò, la Colosimo registra con rammarico anche il fatto che «c’è una lotta impari con la stampa: ignora sistematicamente dirigenti ed eletti che lavorano con impegno nel proprio ruolo, senza lasciarsi andare a considerazioni che con la politica non c’entrano niente. I giornalisti tirano sempre fuori la Minetti o chi per lei, perché quella è l’immagine che deve passare».
Ma qualcuno ci mette del suo
E l’immagine talvolta passa, talvolta no, forse anche in base all’esperienza che l’intervistato ha con i media. «Non amo le interviste, non amo apparire», ha spiegato la Mannucci a Caporale, finendo poi per definirsi «una delle clarette, come hanno scritto i giornali». «Come hanno scritto i giornali», appunto. La Rossi se l’era cavata meglio, forse anche perché con le cronache gossippare aveva già avuto a che fare. «Oddio, non faccia questo paragone assurdo. Non scherziamo proprio», ha risposto l’altro giorno alla domanda se lei fosse «la Claretta Petacci di Silvio». «Secondo lei io sarei Claretta, allora – ha rilanciato la deputata – le dico, visto che le piace questa immagine, che le clarette e i claretti per fortuna sono tanti in questo Paese. Esistono in grandissima quantità sia uomini sia donne che credono nel presidente». L’ha presa a ridere, invece, Francesca Pascale, con la quale ieri il Messaggero c’ha riprovato dopo la notizia di una sua visita a Palazzo Grazioli nella notte tra lunedì e martedì. Stavolta le domande non offrivano impropri paragoni storici a cui uniformarsi, ma in quella direzione puntavano. «È ammirevole – incoraggiava il giornalista – restare accanto a un uomo importante nel momento della difficoltà». Quale fosse l’andazzo, in ogni caso, la Pascale, anche lei vecchia conoscenza delle pagine politico-scandalistiche, l’aveva capito bene. «Comunque già lo so, lei mi farà nera sul suo giornale», ha risposto a una domanda sull’«affetto» che esiste tra lei e il presidente del Consiglio.