Tira-e-molla tra Usa e Iraq per l’immunità ai marines

20 Ott 2011 20:15 - di

Antonio Pannullo
Ci risiamo. La questione dell’immunità giudiziaria per le truppe americane all’estero. Ieri Cermis e Abu Ghraib (ma anche Somalia), oggi l’Iraq rischia di turbare i sonni delle alte sfere a stelle strisce. L’11 ottobre scorso i politici iracheni, che non sono famosi per la loro unità di intenti o di programmi, hanno raggiunto un accordo in base al quale dopo fine anno potranno rimanere in Iraq cinquemila soldati americani, con la missione di addestrare le forze di sicurezza locali. E questo era previsto si può dire sin dall’inizio di “Antica Babilonia”. Ma ai militari Usa non verrà garantita l’immunità di cui hanno goduto sinora. Lo ha rivelato il presidente iracheno Jalal Talabani in un’intervista al quotidiano governativo al-Sabah, precisando che ora Baghdad attende il riscontro americano alla proposta. La scorsa settimana, da Bruxelles, il segretario alla Difesa statunitense, Leon Panetta, ha chiarito che qualunque accordo per far rimanere truppe americane in Iraq oltre la fine del 2011 deve prevedere per i soldati la garanzia dell’“immunità”.
Attualmente in Iraq sono dispiegati circa 43mila soldati americani e il ritiro – in base a un’intesa con il governo di Baghdad – dovrà essere completato entro la fine dell’anno, a meno che non si trovi un accordo per il 2012. A inizio agosto, l’influente leader religioso radicale sciita Muqtada al-Sadr ha ammonito che se la missione americana nel Paese non si concluderà entro fine anno, verrà contrastata con «mezzi militari». Lo stesso premier Nuri al-Maliki ha annunciato che dopo la fine dell’anno «non rimarranno basi» statunitensi nel Paese, facendo riferimento all’accordo per la sicurezza (Sofa) raggiunto nel 2008 tra Washington e Baghdad, in base al quale gli Usa hanno già provveduto un anno fa al ritiro delle unità da combattimento.
Washington per la verità pensava a un personale Usa composto da 21mila soldati con e da 50 aeromezzi.Insomma, un autentico deterrente in grado di scoraggiare conati espansionistici da parte degli Stati confinanti. La stampa governativa irachena – come scrive in un’analisi approfondita il sito Servizi-italiani.net dà ampio risalto alla questione, che sta diventando di importanza capitale sia per l’Iraq sia per la Casa Bianca. Il presidente Barack Obama infatti è sempre più preoccupato dall’influenza della Repubblica islamica iraniana sull’ex nemico confinante.
Tra l’altro, cosa che il governo iracheno sa benissimo, la vioneza degli insorti e quella di al Qaeda non è rallentata in questi ultimi mesi, anche se i giornali e le tv mondiali non ne danno quasi più notizia. Come d’altra parte non si può lasciare l’Iraq, prostrato da anni di guerra civile, completamente senza difesa rispetto alle nazioni viciniori. A poco più di due mesi la questione dell’immunità, cui gli Usa hanno sempre tenuto moltissimo, rischia di compromettere tutto. Come riferisce il sito citato, «il piano “non annunciato”, messo a punto da Washington già dal mese di luglio, prevede la permanenza in Iraq di personale non inferiore alle 21 mila unità. Personale indicato sotto varie denominazioni: “istruttori”, “diplomatici”, “impiegati d’ambasciata”, “civili” e anche i famigerati “contractor”, contestatissimi dagli iracheni per le frequenti violazioni compiute nel passato dalla Blackwater, società di sicurezza privata Usa accusata di numerosi omicidi di civili iracheni. I contractor di Blackwater non sono mai finiti sotto processo, proprio perché il personale dell’agenzia godeva dell’immunità giudiziaria».
La stampa irachena scrive che «l’idea di Washington rischia così di non vedere mai la luce, se non si arriverà prima ad un accordo con Baghdad sul paragrafo che riguarda la concessione dell’immunità giudiziaria». Ora gli Stati Uniti sono davanti a un bivio: o il ritiro totale dall’Iraq, o rinunciare alla richiesta d’immunità. Il capo del pentagono Panetta oggi dice che l’accordo sarà trovato, come in altre occasioni all’ultimo momento; da parte sua il presidente Talabani ritiene che vi sia lo spiraglio per un accordo, perché «nella mia qualità di capo delle forze armate ho ricevuto rapporti ufficiali dall’esercito che confermano l’attuale scarsa capacità dei nostri militari nell’impiegare gli armamenti importati di recente. Questo impone la necessità di mantenere in Iraq gli istruttori statunitensi».
In conclusione, dopo otto anni e circa 4.400 caduti, le forze armate americane tra qualche mese lasceranno l’Iraq. Pare che Obama, proprio in queste ore, stia progressivamente rinunciando all’idea di mantenere qualche migliaio di uomini in Iraq anche l’anno prossimo allo scopo di garantire la sicurezza nel Paese. Ma la situazione, come abbiamo visto, è fluida. Anche perché, pochi giorni fa, alcuni ignoti con armi dotate di silenziatore hanno ucciso un esponente dell’intelligence iracheno, Abdul Razzaq Khalaf…

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