Bruxelles plaude, l’Italia va già oltre
Gli esami non finiscono mai ma il governo uno l’ha superato ed è forse quello più importante, l’esame di maturità europea, mentre il centrosinistra deve ancora completare il primo ciclo di studi. Il disco verde al piano di Berlusconi per affrontare la crisi del debito ha un’importanza notevole, zittisce i disfattisti, pone le basi per il rilancio. Sarebbe stato facile defilarsi per curare i consensi (quando si fanno scelte impopolari si rischia grosso) ma non è il momento degli egoismi politici. In sede Ue, peraltro, si sono raggiunti parecchi risultati: l’intesa per l’ampliamento del fondo salva-stati (portato a mille miliardi); l’abbattimento del 50 per cento del valore nominale dei titoli del debito della Grecia (il cosiddetto “taglio dei capelli”) dovrà essere approvato entro il 2011 e trovare attuazione all’inizio del 2012; complessivamente si mettono in moto 100 miliardi di aiuti che consentiranno al debito di Atene di tornare, nel 2020, al 120 per cento del Pil e diventare così più sostenibile. Obiettivo che sarà raggiunto anche grazie a un contributo ulteriore del programma di aiuti, pari a 130 miliardi di euro entro il 2014.
L’intervento di Bruxelles
Sullo sfondo la successiva ricapitalizzazione degli istituti di credito, circa 90, con in testa quelli francesi. Entro giugno 2012 dovranno essere reperiti a questo scopo 106 miliardi di euro di cui 14,7 andranno a beneficio degli istituti di credito italiani. L’obiettivo è quello di portare l’indice di solidità patrimoniale al 9 per cento, livello che è stato già raggiunto dalle due principali banche italiane: Unicredit e Intesa Sanpaolo. Per rafforzarsi le banche dovranno prima attingere a capitali propri, poi potranno chiedere l’intervento dei rispettivi Stati e, solo solo in ultima istanza, accedere all’Efsf. Le esposizioni sono quelle quantificate alla data del 30 settembre 2011. Probabilmente non è la fine di tutto, ma si tratta sicuramente di un buon inizio. Tutto lascia credere, infatti che i 1.000 miliardi del fondo salva-stati non costituiscono una capacità di fuoco adeguata qualora la speculazione dovesse accanirsi contro l’Italia, ma sono sufficienti per la Grecia e basteranno per tranquillizzare i mercati. Almeno per il momento. Finalmente qualcosa si è mosso e i mercati hanno salutato le novità con con un boom: Milano è salita del 5,49 per cento; Madrid del 4,96; Francoforte del 5,35; Parigi del 6,28; Londra del 2,89 per cento.
Sviluppo cercasi
Fin qui il quadro generale. Adesso prende il via la lunga maratona per mettere a punto e tradurre in fatti concreti gli impegni assunti dal nostro governo con Bruxelles. L’imperativo a fare presto è stato messo nero su bianco nelle conclusioni del summit tenutosi mercoledì notte e Josè Manuel Barroso ce ne ricorda i vincoli osservando che adesso l’Europa «è più vicina alla soluzione della crisi e a rimettersi sulla strada della crescita». Olli Rehn, commissario europeo agli Affari politici e monetari, avrà il compito di occuparsi della moneta unica: sarà il commissario dell’euro. Per noi il primo appuntamento importante è quello del prossimo 15 novembre. Il ministro Maurizio Saconi fa sapere che la messa a punto «è già iniziata», anche se il suo collega allo Sviluppo economico, Paolo Romani, ci tiene a far sapere che al momento non c’è ancora una road map precisa. Ma cosa c’è sul tavolo? C’è la semplificazione, la ripartenza nella realizzazione delle infrastrutture, i contratti agevolati di inserimento per far crescere il tasso di occupazione, soprattutto a carico delle donne, la riduzione dei contributi sull’apprendistato, misure per frenare i contratti atipici e favorire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, possibilità di licenziare per motivi economici, la rimozione dei vincoli alla concorrenza, il varo di una riforma fiscale e dell’assistenza per rendere il costo del lavoro più competitivo e liberare risorse per consumi e investimenti. Troppo poco? Forse. Ma nell’attuale situazione era francamente impossibile pretendere di più.
Quattro le direttrici di marcia
Nei prossimi otto mesi il governo intende muoversi attraverso quattro direttrici principali. Nei primi sessanta giorni verranno messi a punto i meccanismi necessari per la rimozione dei vincoli e delle restrizioni alla concorrenza e all’attività economica, in modo da consentire, in particolare nei servizi, livelli produttivi maggiori a costi e prezzi inferiori. Sparirà il prezzo minimo delle prestazioni per quanto riguarda i liberi professionisti e spariranno anche le farmacie comunali. La ventata liberista investirà anche le pompe di benzina. Qui, fare cartello diventerà molto più difficile e i prezzi dei carburanti alla pompa dovrebbero calare. Le grandi imprese distributrici, infatti, non potranno gestire anche catene di pompe di benzina. cadono i vincoli burocratici e si liberalizzano servizi pubblici e utilities. Poi, nei successivi due mesi, si realizzerà la definizione di un contesto istituzionale, amministrativo e regolatorio in grado di favorire il dinamismo delle imprese. Ancora sessanta giorni e vedrà la luce l’adozione di misure che favoriscano l’accumulazione di capitale fisico e di capitale umano e ne accrescano l’efficacia. Quindi, per ultimo, il completamento delle riforme del mercato del lavoro, per superare il dualismo e favorire una maggiore partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. Anche il dualismo Nord-Sud entrerà nei provvedimenti destinati a produrre maggiore crescita, attraverso i fondi Ue, la fiscalità di vantaggio, gli aiuti al lavoro per i giovani e la realizzazione delle infrastrutture di cui non si può più fare a meno se non si vuole che il nostro Mezzogiorno perda definitivamente il passo con il resto del Paese, oltre che con l’Europa.
Apprezzamenti Ue
Un intero capitolo di quattro paragrafi sugli impegni assunti dal nostro Paese con la lettera di intenti di Berlusconi è stato inserito nelle conclusioni del summit Ue di mercoledì. «L’Italia – ha dichiarato a Berlino il commissario agli Affari economici e monetari Olli Rehn – ha presentato un programma di riforme chiaro e una tabella di marcia ambiziosa». Una dichiarazione che ricalca in qualche modo quanto riportato nelle conclusioni del vertice di Bruxelles. «Accogliamo con favore – è scritto nel documento – i programmi dell’Italia per le riforme strutturali finalizzate a rafforzare la crescita e per la strategia di consolidamento fiscale, così come delineate nella lettera inviata ai presidenti del Consiglio europeo e della Commissione e la invitiamo a presentare urgentemente un ambizioso calendario per queste riforme». Fin qui il punto sei. Più oltre sono riportati gli apprezzamenti per l’impegno a raggiungere il pareggio di bilancio già nel 2013 e un surplus strutturale nel 2014, così come per «la regola che prevede l’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione entro la metà del 2012». José Manuel Barroso, presidente della Commissione, prende la parola per la conferenza finale e cita gli impegni del nostro Paese come esempi di «impegni molto concreti» e «sostanziali», anche perché presi con «date precise che sono state approvate da «tutti i leader della Ue». E Angela Merkel nonha voluto essere da meno. «Notevole», ha detto, l’impegno a ridurre il debito al 113 per cento del Pil entro il 2014.
Il lavoro aumenta
In attesa dell’auspicato, maggiore sviluppo l’Isfol effettua un monitoraggio sulle strategie europee per l’occupazione e registra, per il primo trimestre del 2011, dati migliori del previsto. La disoccupazione di lunga durata, vale a dire la quota di coloro che sono in cerca di lavoro da più di 12 mesi sul totale della popolazione attiva, viene spiegato, è il primo campanello di allarme della disoccupazione strutturale. Il dato italiano risulta allineato a quello di Francia e Germania e appare decisamente distante da quanto osservato nei Paesi in forte crisi occupazionale, come Spagna, Irlanda e Grecia. Il rischio di una ripresa della disoccupazione strutturale, che aveva già colpito l’Italia nel corso degli anni Novanta, sembra quindi scongiurato se riferito all’intera popolazione. Una considerazione corroborata dal fatto che, tra gennaio e marzo di quest’anno, la disoccupazione italiana e scesa lievemente a seguito di un inaspettato aumento dei posti di lavoro. Tutto questo anche in assenza di quella flessibilità che da più parti viene richiesta per il mercato del lavoro e che il governo vuole inserire attraverso misure che consentano di licenziare, con adeguato indennizzo, in aziende dove ci siano seri problemi economici. I sindacati fanno blocco, ma in Europa ci sono già Paesi dove questo è possibile. E come la mettiamo con la competitività?