Popolo sovrano? È una bella idea (che non vale più)

21 Set 2011 20:14 - di

Ha ragione – non nel merito, ma nel principio – il capogruppo della Lega alla Camera Marco Reguzzoni, che alla Telefonata di Maurizio Belpietro ha detto: «Il popolo è sempre sovrano e quindi è l’unica figura che è sempre sopra il Capo dello Stato. Per principio e anche per doveroso rispetto non commentiamo mai le dichiarazioni del Capo dello Stato. Bossi però a Venezia ha fatto riferimento alla necessità che si possa esprimere il popolo, il popolo è sempre sovrano e quindi è l’unica figura che è sempre sopra il Capo dello Stato. Il popolo ha sempre diritto di dire la sua». Sulla questione specifica, ribadiamolo, il leghista ha torto: ma chi è che seriamente vuole questa secessione? Basta, per favore, con questo mito di Cinisello Balsamo come Belfast e con le frottole sul popolo padano in marcia. Deliri propagandistico-etilici a parte, l’idea che in democrazia il popolo sia superiore a qualsiasi autorità morale appare tuttavia sacrosanta. Così, almeno, dovrebbe essere in teoria. Ma fra la teoria e la pratica c’è un grosso “ma” che si frappone. Ed è questo: ma siamo sicuri che il popolo oggi sia ancora sovrano?

Quale nazione?

Facciamo un passo indietro. Le democrazie nazionali moderne, lo sappiamo, nascono nel momento in cui la legittimità del governante non deriva più dal “diritto divino” ma solo dalla “volontà della nazione”. Ecco, anche qui si apre un baratro: che ne è, oggi, della nazione e della sua volontà sovrana? Svuotata dal basso dai localismi veri o presunti (vedi sopra), la nazione è anche espropriata dall’alto dalle istituzioni dette, appunto, sovranazionali. Dal Wto – peraltro ormai molto ridimensionato nei suoi poteri – al Fmi, dal G8 al G20, aggiungendo un pizzico di Trilaterale e Bilderberg, i poveri stati nazionali sembrano ormai vasi di coccio fra vasi di ferro. O, meglio, bambinetti portati per mano da chi è più maturo, consapevole, vigoroso e prestante di loro. Ma l’istituzione sovranazionale più pressante è sicuramente l’Unione europea. Beninteso: l’Europa resta la nostra unica speranza di grande politica, su questo non c’è dubbio. E invece meno certo che il nostro destino sia così al sicuro nelle mani di quel mammuth burocratico, moralistico, economicamente liberista e culturalmente trozkista che è l’attuale Ue. Insomma: va bene la sovranità nazionale, ma di quale nazione? Dell’Italia o dell’Unione europea?

I ricatti di Mr. Mercati

Ma si sa, l’Europa unita è una necessità ineludibile, a che serve protestare? Un’altra legge di natura da cui non si può scappare è quella della grande finanza. L’occhio arcigno di Mr. Mercati osserva l’operato degli stati nazionali. E poi fa, disfa, giudica, declassa, specula, rovina o promuove. Ecco, a che serve la sovranità popolare in uno Stato che deve continuamente rendere conto non al popolo ma “ai mercati”? E chi sono, poi, questi “mercati” impersonali, trattati come oracoli, enti sovrani, figure dell’oggettività e dell’implacabilità? Lo sappiamo bene: è la Goldman Sachs che dà consulenze agli Stati in difficoltà e contemporaneamente suggerisce agli investitori di specularvi contro. O le agenzie di rating, arbitri della finanza mondiale che danno voti come se piovesse ma in realtà sono istituti privati che agiscono in regime di monopolio (S&P e Moody’s, da sole, detengono l’80% del mercato del rating) e sono controllate da meno di cinque grandi potentati. Che poi sono a loro volta grandi investitori. Insomma, gli arbitri sono anche giocatori, mentre i popoli anche solo per scendere in campo devono scavalcare la recinzione. Secondo voi possiamo vincere la guerra?

Sinistra e popolo bue
In tutto questo, meno male che c’è la sinistra. Ricordate? Le grandi battaglie sociali, “Il quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo, l’operaismo, il proletariato che «non ha nulla da perdere fuorché le proprie catene»… Ecco, se lo ricordate dimenticatelo pure tranquillamente, perché è tutto finito. Se Berlusconi è ancora il padrone da prendere a calci nel sedere, i nomi che a sinistra fanno venire i brividi di piacere non vengono esattamente dai campi e dalle officine: Marcegaglia, Montezemolo, Draghi… Sono questi i nuovi eroi progressisti, altroché. E se Asor Rosa vorrebbe i colonnelli invocando «una prova di forza che […] scende dall’alto, instaura quello che io definirei un normale “stato d’emergenza”, si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato, congela le Camere», Umberto Eco si pone altri dilemmi, in quanto «il problema non è cacciare Berlusconi con un colpo di stato, contro il 75 per cento degli italiani, al quale in fondo le cose vanno bene così». Intanto Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, ci spiega di quanto gli ambienti economici spingano per avere un governo tecnico guidato da Amato e tifa apertamente per il «“partito trasversale” dei ceti produttivi» che «mette in mora Berlusconi e, di fatto, lo “liquida”», mettendo in atto «una “supplenza”, sostituendo una politica che non ce la fa».

Porci, porcate e porcellum
Quando poi, nonostante qualcuno lo voglia commissariare, il popolo va davvero a votare, ecco che si trova ad avere a che fare con una legge elettorale che comunque lo spossessa della reale facolta di decidere i suoi rappresentanti. E allora è ovvio che una delle ricette più gettonate sia quella delle primarie. L’ultimo a tornarci su è stato La Russa, che al Messaggero ha dichiarato: «Se Silvio decidesse di non candidarsi, allora un’ampia consultazione degli elettori, e quindi le primarie, rappresenterebbe la soluzione più adeguata. Per la premiership non si possono immaginare primarie di un solo partito. Le primarie obbligatoriamente sono di coalizione. Dunque non solo noi ma anche gli altri partiti che si collegano a noi dovrebbero essere d’accordo». Basterà tutto questo a ridare al popolo quella sovranità scippata dall’Unione europea, dai mercati, dalle oligarchie culturali e dalle trappole elettorali? No. Ma di sicuro male non farà.

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