Ma quella porcata l’avete ispirata voi
Il porcello è figlio del cinghiale. No, non è l’ennesima teoria alternativa sull’evoluzione della specie. Parliamo di leggi elettorali. L’una, il porcellum, la conosciamo. Per definire l’altra, invece, abbiamo attinto alla sagacia immaginifica del sindaco di Firenze Matteo Renzi, che ha detto: «Abbiamo una legge elettorale vergognosa: se quella di Calderoli è un porcellum, quella regionale della Toscana è un cinghialum».
Storia del “cinghialum”
Che c’entra ora la Toscana? C’entra, c’entra. Perché oggi va di moda liquidare la legge Calderoli come l’ennesimo trabocchetto berlusconiano per azzerare la democrazia ed espropriare i cittadini dei loro diritti. Persino Wikipedia, nella relativa voce, spiega: «Il premio di maggioranza per la coalizione vincente alla Camera (un vero e proprio unicum nel contesto europeo) era già apparso in due leggi elettorali italiane del passato: la legge Acerbo del 1923 e la cosiddetta “legge truffa” del 1953». È un modo molto furbo per dirlo: il richiamo alla legge Acerbo è trasparente, serve a suggerire l’idea che anche in questo caso si voglia instaurare un potere dittatoriale. Quanto alla “legge truffa”, sarebbe complicato ricostruirne genesi ed essenza, ma certo il nome non può dare buone vibrazioni al lettore. Eppure che si scopre, se andiamo a vedere le circostanze in cui nacque il porcellum? Che, appunto, il cinghialum fu il suo progenitore. Insomma, Calderoli & Co. si ispirarono alla legge dela rossa Toscana. C’è di più: quella legge, approvata nel 2004, fu il frutto di un accordo tra i tre partiti maggiori di allora, Ds, Forza Italia e An. Sì, c’erano anche i Ds, gli antenati del Pd. C’erano soprattutto loro, trattandosi di regione storicamente amministrata dal Pci e dai suoi eredi. E cosa prevede, in concreto, il meccanismo elettorale della regione? Presto detto: si tratta di una legge proporzionale, con soglie di sbarramento, premio di maggioranza, elezione diretta del presidente della regione e liste bloccate. Si prevede, è vero, una democratizzazione “a monte”, attraverso le primarie. Che, tuttavia, non sono né obbligatorie né vincolanti. Ora, chiunque può vedere che la legge regionale toscana ricalca in tutto e per tutto quella nazionale. Insomma, il male di tutti i mali, il provvedimento para-totalitario, il non plus ultra della ragion politica berlusconiana deriva niente di meno che dalla regione rossa per antonomasia. E, aggiungeremo, non è un caso. La logica delle liste bloccate, lo strapotere dei partiti che annulla la personalità del candidato, è infatti di pura marca Pci. “Vota comunista”, si leggeva nei manifesti del partito, non “Vota Tizio o Caio”. In quell’ambiente, anzi, era un titolo di vanto cercare di accaparrarsi elettori “per il partito”, non certo “per una forma borghese di ambizione individuale”.
Chi non muore si rivede
Questo dato, tuttavia, sfugge alla maggior parte dei commentatori. Sfugge a Sartori, che nell’articolo che ribattezzerà la legge parlerà solo di «ultima malefatta di Berlusconi». Sfugge a Wikipedia, che preferisce stabilire paragoni arditi con la legge Acerbo, salvo affermare in modo anodino e solo parlando degli sbarramenti che «questo metodo ricorda quello della legge elettorale usata in Toscana, che prevede simili sbarramenti». Sfugge a Europa, che sta puntando forte sulla campagna referendaria per abrogare la legge Calderoli. Sfugge, a quanto pare, a Mariotto Segni. Sì, lo so, probabilmente questo nome evocherà un corale: «Mariotto chi?». Trattasi, in effetti, di una meteora politica, già figlio d’arte, frutto integrale della prima repubblica ma in essa abbastanza anonimo da potersi presentare subito dopo Tangentopoli come alfiere del nuovo corso. Dopo una breve stagione sulla cresta dell’onda, nella quale convinse gli italiani che il maggioritario avrebbe trasfornato l’Italia nel paradiso in terra, scomparve senza lasciare traccia. Fiutata l’aria che tira, tuttavia, lo vediamo ora rispuntare fuori e tentare per la seconda volta il trucco. Da qui il suo impegno nella raccolta firme comtro l’attuale legge elettorale. «L’obiettivo – dice – è quello di eliminare lo sconcio dei parlamentari nominati dai capi-partito che questo obbrobrio consente».
Calderoli e le porcate
In tutto questo giova ricordare che il nome del cosiddetto porcellum nasce da una battuta dell’autore stesso del testo di legge, il leghista Roberto Calderoli che, a Enrico Mentana, durante la registrazione di Matrix, nel marzo 2006, spiegò di quali sue leggi fosse orgoglioso e di quali no. «La legge sui reati di opinione – dochiarò – l’ho scritta io e sono onestamente orgoglioso e ovviamente la legge sulla legittima difesa. Un po’ meno orgoglioso sono della legge elettorale che si dovrà riscrivere. Glielo dico francamente, l’ho scritta io ma è una porcata. Una porcata fatta volutamente per mettere in difficoltà una destra e una sinistra che devono fare i conti col popolo che vota». Come abbiamo già accennato, fu poi il politologo Giovanni Sartori, sul modello della precedente legge chiamata “mattarellum”, a coniare il termine “porcellum”. Che probabilmente è, sia detto a scanso di equivoci, una porcata vera. L’importante è sapere da quale porcile viene.