Ma allora in Italia chi comanda davvero?
L’inchiesta pugliese su Silvio Berlusconi finisce nel maggio 2009. A metà giugno Massimo D’Alema in un’intervista a Lucia Annunziata consiglia all’opposizione di tenersi pronta nell’eventualità «di scosse che coinvolgono il governo». Tutti a interrogarsi su che cosa intenda l’ex premier, ex segretario del Pd nonché attuale presidente del Copasir. «A distanza di due anni verrebbe da citare la masisma di Andreotti quando sosteneva che a pensare male si fa peccato, ma di solito si azzecca», commenta Pietro Laffranco, deputato Pdl e commissario del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. «Due anni dopo quella frase sibillina pronunciata da D’Alema induce a riflettere, ma è tutta la vicenda che ha in sè connotazioni inquietanti». Laffranco la vede in questi termini: «Il problema è molto più serio di quello che viene rappresentato nelle pagine e pagine di intercettazioni nelle quali si parla più di Manuela Arcuri che di altro». Per quale motivo conseguenze drammatiche, è presto detto: «Un capo del governo intercettato trecentomila volte è un fatto che non ha precedenti in nessuna nazione democratica al mondo. È una follia che va affrontata».
Da Bari a Napoli: troppi paradossi
Una follia e molti paradossi, come osserva Filippo Saltamartini, senatore del Pdl, un passato da segretario generale del Sap, il sindacato autonomo di polizia. «Sullo stesso caso Tarantini ci sono più Procure a indagare. In nessun Paese d’Europa ci sono tante risorse pubbliche impiegate per uno stesso caso. Mi fa una cortesia? Provi a dare un’occhiata alle statistiche relative ai reati più gravi commessi a Napoli nell’ultimo anno? Perché se si impiegano tante energie e tante risorse nell’inchiesta che leggiamo sui giornali, evidentemente c’è poco altro sui cui investigare». Detto fatto, questi i dati dalla relazione del presidente della Corte di Appello di Napoli, Antonio Buonajuto: nel periodo che va dal primo luglio 2009 al 30 giugno 2010, nel Napoletano si sono registrati 45 omicidi, l’anno prima 74. Gli agguati mortali di camorra sono stati nel 2009 45 e 22 nel 2010. Tentati omicidi? Sono stati 115 nel 2009 e 105 nel 2010, così come le lesioni dolose (3.251 due anni fa, 3.431 lo scorso anno). Senza contare le rapine 10.338 nel 2010 e 6.712 nel 2009. «Visto? Che le dicevo? C’è da chiedersi – nota Saltamartini – se i successivi procedimenti siano sfociati in decreti di archiviazione o siano a rischio di prescrizione». Altra domanda che viene spontaneo porre: possibile che gli organi di sicurezza non sapessero delle indagini? In Italia è perfettamente logico». E altrove? «In Francia di sicuro non sarebbe possibile, perché il pm è sottoposto al controllo del ministro di Grazia e Giustizia». Gli esempi con altre nazioni vengono facili. Negli Stati Uniti sarebbe possibile che la Nsa, fosse all’oscuro di un’intercettazione di Barack Obama? O in Germania sarebbe possibile una cosa del genere per la cancelliera Angela Merkel (tirata in ballo dalla famosa battuta del premier). «No – taglia corto Saltamartini – questa è una situazione tutta italiana».
Il caso Abu Omar fa scuola
«Il bilanciamento dei poteri previsto dalla Costituzione fa sì che il presidente del Consiglio sia il per certi verso il potere più debole. I nostri servizi segreti erano informati? Se lo fossero stati avrebbero avuto il dovere di informare l’autorità giudiziaria. Spesso i nostri servizi segreti, uso una parola forte, sono l’anello debole. Le ricordo che il sistema giudiziario italiano non pone al primo posto la sicurezza nazionale. Proprio sulla base di questi presupposti – ricorda l’ex vicequestore – è stata smantellata la rete Cia del Nord Italia, dopo il processo per il caso Abu Omar». Per Saltamartini, il ragionamento è chiaro: «C’è una parte della magistratura che continua a sentirsi la sentinella morale di un popolo, ha mandato a casa una parte dei partiti della prima Repubblica e sta continuando ora la sua operazione con Berlusconi».
«Un indagine mai vista al mondo»
Luigi Ramponi, che prima di entrare in politica e diventare senatore prima di An e poi del Pdl, è stato generale della Guardia di Finanza e direttore del Sismi invita a non fare semplificazioni grossolane. «Intanto la Gdf effettua le intercettazioni su mandato del magistrato, che decide sul fare o non fare le intercettazioni. Quindi le forze dell’ordine eseguono solo gli ordini del magistrato». E i Servizi? Possibile non si siano accorti che il premier era “controllato”? «In questa faccenda non c’entrano niente. Se a essere intercettato è un tizio che telefona al premier, come nel caso di Lavitola o di Tarantini, i servizi di sicurezza non sono tenuti a controllare alcunché». Il problema, semmai, precisa Ramponi, «è che una cosa del genere, in tanti anni di carriera non l’ho mai vista al mondo. Un presidente messo in queste condizioni dalla magistratura. Mi fa pensare al caso Watergate con Nixon, ma era tutto un altro contesto». L’aspetto più grave, secondo Ramponi, resta un altro: «Le comunicazioni private non vanno diffuse e pubblicate. Soprattutto se sono estranee al reato.
Il punto sulle trascrizioni
Intanto ieri dalla procura di Bari è stato fatto il punto sulle intercettazioni Non sono stati trascritti perché ritenuti irrilevanti dai pubblici ministeri ai fini penali molti dei colloqui intercettati nel corso delle indagini sulle escort che Gianpaolo Tarantini ha portato nelle residenze del premier tra il 2008 e il 2009. I file audio delle telefonate irrilevanti stanno per essere messi a disposizione dei difensori degli otto imputati che hanno ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari sul giro di escort.
Finora, però nessun difensore ha avanzato richiesta di ascoltarle. Le difese hanno invece già a disposizione i cinque faldoni dell’inchiesta che contengono, anche per riassunto, la trascrizione di tutte le telefonate rilevanti penalmente.
La questione delle intercettazioni, anche quelle prive di rilievo penale, è disciplinata dall’articolo 268 del Codice di procedura penale che prevede che «entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni», e comunque «non oltre la fine delle indagini preliminari», i verbali e le registrazioni devono essere depositati presso l’ufficio del pubblico ministero «assieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga».