Le destre che hanno nostalgia della destra
Succede un po’ come le zuffe tra ragazzini: il passo più difficile – dopo le botte – è il primo, tornare a parlarsi. Ma a destra, da qualche tempo a questa parte, è davvero un tutti contro tutti (manco fossero diventati socialisti, direbbe qualcuno), ragion per cui anche il primo passo diventa notizia. Gianni Alemanno ieri è andato a Mirabello (questa volta sponda Futuro e libertà) per lanciare il suo progetto di Area vasta? Lo hanno criticato, da una parte, il segretario de La Destra Francesco Storace («Alemanno chiarisca la sua presenza alla festa di Fli», ha minacciato) e, dall’altra, i finiani movimentisti che trovano sponda nel futurista di Filippo Rossi che di ricomposizione proprio non ne vogliono sentire parlare (anche se questa è una delle voci che si registrano in Fli, dove ci sono anche diversi aperturisti). È chiaro che, nella gestione di un presente enigmatico, la rottura traumatica tra chi proviene da Alleanza nazionale consumata all’interno del Pdl, brucia ancora. Certo, tutti vengono da uno stesso cammino ma – parafrasando Mao Tse Tung – vogliono andare tutti nella stessa direzione? Vogliono davvero andare tutti verso la stessa “Cosa”? La riflessione allora, se siano progetti o individualità in cammino, è più di un interrogativo politologico.
L’appello alla ricomposizione
Da parte sua c’è chi, come Adolfo Urso, da tempo ha fatto della ricomposizione delle forze del centrodestra un’invocazione. E ieri ha lanciato dal suo magazine FareitaliaMag un editoriale – con annessa campagna – che dice tutto nel titolo: la “diaspora della destra”. Una disgrazia che ha portato «la destra italiana a smarrirsi» proprio «al momento di entrare nello stadio per l’ultimo giro, dopo una lunga maratona politica, ha sbagliato la porta d’ingresso e il pubblico che era già in festa non l’ha più ritrovata». Rispetto a questo allora «tutti avvertono la necessità di tornare al dialogo, ma per il momento non sanno dove cominciare». Secondo Urso – che sta girando lo stivale con la sua creatura Fareitalia proseguendo la sua scommessa sul Ppe italiano – le ultime che provengono dalle “diplomazie” sono un segnale: «L’importante è parlare di un comune approdo, certo per il momento noi possiamo mettere in campo luoghi d’incontro per parlare di alcuni aspetti sul campo delle riforme». E che ciò sia una necessità non solo degli insider lo dimostra un dato: «Da quando la destra si è smarrita manca la spinta propulsiva all’azione di governo». A quanto sembra però per Urso non vi è alla base l’esigenza identitaria di rilanciare soggetti o suggestioni: «La mia preoccupazione è prima di ogni altra cosa programmatica, e sa perché? Perché nell’epoca del bipolarismo parlare di destra identitaria è un non senso: oltretutto davanti a una crisi economica che non si risolve di certo invocando chissà quale alchimia». Motivi allora per riprendere cammino ci sono, «a cominciare dall’invito ad Alemanno alla kermesse di Fli che è una sconfessione di chi ha inteso forzare su certe posizioni da ultras».
Idee contro
Nell’altra Mirabello – quella targata Pdl – Silvano Moffa, anche lui transfuga da Fli e adesso capogruppo di Popolo e territorio, c’era. E proprio seguendo il verbo della riconciliazione. Qualcosa si è mosso da quel giorno? «Sì, e credo che oggi debba essere una priorità il discorso sulla riarticolazione del centrodestra, del resto questo lavoro è stato avviato con la scelta di Angelino Alfano. Questo significa ovviamente ripensare a un progetto del centrodestra che sia inclusivo nei confronti di una destra moderna, europea, popolare». Rispetto a ciò che si muove in questi giorni nella kermesse finiana Moffa però non sembra mosso dallo stesso ottimismo di Urso: «Ho difficoltà a immaginare che ci possano essere in questa fase un sostanziale riavvicinamento, vista la posizione che Fli ha assunto su temi valoriali e su istanze politiche. Però non bisogna mai mettere da parte il dialogo e il confronto perché proprio in questo momento lo ritengo necessario». In ogni caso parlare di riaggregazione significa necessariamente pensarla su basi nuove «che superino le tante antinomie, le tante divisioni, le incrostazioni che hanno portato al fallimento e alla lacerazioni di questi ultimi mesi». E ciò è urgente non fosse altro «perché – parafrasando le parole di Urso – non siamo di fronte a una diaspora della destra ma a una vera e propria secessione». Addirittura. «Sì, è andata proprio così: dal punto di vista umano ciò che è successo è stato raccapricciante. Hanno disgregato un mondo assieme al concetto di bene comune e si sono affermate logiche impolitiche». A questo punto occorre chiedersi lo strumento per ottenere tutto questo. «Personalmente ritengo che debba nascere un nuovo patto federativo, un partito di stampo federativo dove le identità non si annullano, ma tutte convergono in un progetto comune». Da questo discorso manca però la parola “leader”. «Vero, il collante deve essere altro. È finita l’idea dell’esclusività e della unicità del leader come elemento assorbente, adesso occorre ripartire dal territorio». Insomma ci può essere una rigenerazione a partire dagli errori? «È auspicabile ma guai, però, a pensare di ripresentare una ridotta di Alleanza nazionale».