Cara Camusso, cita tutto ma non la Costituzione
C’erano una volta le Guardie rosse: erano i ragazzini scatenati da Mao per dar vita alla Grande rivoluzione culturale. Li riconoscevi dal Libretto rosso, il testo-feticcio del Grande Timoniere mostrato nelle piazze come bandiera identitaria e simbolo di granitico dogmatismo marxista. Oggi anche i cinesi non sono più quelli di una volta, ma in compenso la mania di guardare il mondo dalla lente deformante del Libro sacro non è affatto scomparsa. Ora, anziché a Mao, tocca alla più prosaica Costituzione della Repubblica italiana. Con una differenza: che almeno le Guardie rosse il Libretto rosso lo leggevano sul serio. Ai pasdaran della Carta, invece, basta citarne il nome: «È contro la Costituzione!». E il gioco è fatto. L’ultimo episodio relativo a questa sgradevole abitudine riguarda il segretario della Cgil, la barricadera Susanna Camusso. A proposito delle nuove norme sul licenziamento, la leader sindacale ha tuonato: «Il governo sta violando la Costituzione, si tratta di modifiche che indicano la volontà di annullare il contratto collettivo nazionale di lavoro e di cancellare lo Statuto dei lavoratori, e non solo l’articolo 18, in violazione dell’articolo 39 della Costituzione e di tutti i principi di uguaglianza sul lavoro che la Costituzione stessa richiama». Siamo alla follia. Non tanto per il contenuto polemico nei confronti di una norma che può essere giusta o non giusta, quanto piuttosto perché in Italia, se c’è un argomento di cui un sindacalista non dovrebbe parlare, è proprio l’articolo 39 della Carta. Quello, per intenderci, che recita, fra le altre cose: «Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge». E che, più sotto, aggiunge: «I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce». Ecco: avete mai sentito parlare di sindacati registrati «presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge»? Difficile, dato che questo non è mai accaduto. Ebbene sì, i custodi integerrimi del Verbo, le vestali del sacro documento sono i primi a trasgredirlo. La Costituzione richiede registrazioni (con tanto di verifiche sul grado reale di rappresentatività di ogni sigla)? E chi se ne frega, a loro suona come illiberale, quindi se ne sbattono. Il che sarebbe quasi sopportabile, se poi non ci facessero la morale ergendosi a paladini della Carta. Ma quello di richiamarsi alla Costituzione un po’ a capocchia, sventolando il nuovo Libretto rosso tanto per farsi forza, non è certo una esclusiva della Camusso. Il presidente dell’Anm Luca Palamara, ad esempio, non ha avuto timore di definire «incostituzionale» il contributo di solidarietà per i dipendenti pubblici.«Siamo pronti a fare sacrifici, ma c’è un articolo della Costituzione, il 53, in cui è scritto che tutti, non solo alcuni, debbono essere chiamati a fare la loro parte», ha detto. Il ragionamento appare molto più che capzioso. Ma si sa: opporre ragionamento a ragionamento, con la sola forza delle idee, è più complicato che rifugiarsi dietro il totem: «Lo dice la Costituzione». Anche se poi non è vero. Anche se poi si è i primi a fregarsene della Carta. Chi ha qualche anno in più, per esempio, si ricorderà come il Movimento sociale italiano abbia presentato all’inizio di ogni legislatura una proposta di legge per l’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione. Quello che recita: «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». La proposta era poco più che simbolica, ovviamente, dato l’isolamento del partito almirantiano. Che, in compenso, era esso stesso accusato di essere anticostituzionale in virtù della famosa XII disposizione transitoria. Ma anche qui sorge il dubbio che il richiamo alla Carta fosse del tutto strumentale e polemico. Anche perché quella benedetta norma, forse, gli antifascisti non l’avevano mai letta davvero. Della disposizione, infatti, si è sempre citata la prima parte, peraltro facendo finta di non capire che quel «disciolto partito fascista» di cui si vietava «la riorganizzazione» era il vecchio Pnf e non certo un qualsiasi movimento che dal Ventennio traesse ispirazione. Ma è ancor più interessante leggere il secondo comma, secondo il quale «sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista». Insomma, un Mussolini in persona ipoteticamente scampato all’esecuzione partigiana nel 1953 avrebbe potuto entrare in Parlamento in tutta tranquillità. La Costituzione diceva e dice esattamente questo. Peccato che nessuno vada mai a leggerla.