Atreju: contro la recessione l’Italia che ci crede…
«Fate(ci) largo». L’invocazione che campeggia sulla gigantografia della festa, all’ingresso del parco del Celio a Roma, assume tutti i contorni di una carica (pacifica) e generazionale. Perché quest’anno Atreju – il meeting dei giovani del Pdl che di fatto riapre il ring della politica nazionale – ricade in un momento particolare per il Paese, impegnato com’è a risolvere una crisi economica che è anche di sistema e di prospettive. E i ragazzi della Giovane Italia, i tanti volontari che provengono da tutta Italia per l’occasione, questo dimostrano di saperlo molto bene. Non è un caso che ad aprire la tredicesima edizione della festa sia proprio il tema dell’occupazione, con un aforisma di Virgilio che è tutto un programma: “Tutto vince il lavoro”. Certo, per loro che – tra tatuaggi celtici e All star ai piedi, tra impegno ambientalista e quello per il diritto al mangiar “sano” quindi local – per la maggiore ancora studiano questo (per fortuna) non sarà ancora un assillo. Ma è chiaro come il tema del lavoro sia entrato prepotentemente nell’immaginario di una generazione che deve fare i conti «con precarietà, con la gerontocrazia, con le corporazioni e con gli epigoni di Zio Paperone meglio noti come i banchieri», come spiegano alcuni ragazzi davanti a uno stand. Lo si capisce allora, che con il lavoro non si scherza, anche da una delle installazioni presenti nell’area, la quale – parafrasando liberamente una battuta di Renato Brunetta – racconta per immagini l’Italia “peggiore”: e se la presenza di Palmiro Togliatti e Luca Casarini è tutto sommato nelle cose (rispettivamente anti italiano “peggiore” il primo e per “noia” il secondo), significativa è la presenza tra gli anti-italiani di un Sergio Marchionne in bella posa, “reo” secondo i ragazzi di aver chiuso gli stabilimenti in Italia «e di aver messo in cassa integrazione gli operai a carico dello Stato. Un altro grande capitano di industria con i nostri soldi».
Ad Atreju, come da tradizione, sconti non ce sono per nessuno. In camicia e jeans ce lo conferma al suo arrivo Giorgia Meloni, ministro della Gioventù e madrina da sempre della festa. «Fatece largo sì, perché passamo noi, ’sti giovanotti de ’sta Roma bella…», scherza canticchiando il motivetto. Ma poi si fa seria. «Arriviamo a questo appuntamento con un grosso lavoro in dote. Perché parleremo di nuovo welfare sì, ma assieme a questo degli impegni che questo governo ha portato avanti in un periodo di forte recessione: penso agli interventi grandi e piccoli che abbiamo messo in opera per combattere le discriminazioni che ancora esistono verso i giovani, al fondo per i precari, alle garanzie per le donne che rientrano al lavoro dopo aver messo al mondo un figlio, agli ammortizzatori sociali allargati ai lavoratori atipici, al prestito d’onore per gli studenti affinché questi possano completare gli studi». È evidente, però, che si parla della parte del tutto. «Certo, e siamo qua proprio per parlare di quello che ancora deve essere fatto: credo che ancora manchi il lavoro strutturale sul piano delle riforme, che a nostro avviso significa soprattutto nuovo welfare e sistema pensionistico». Rispetto a questo, però, le posizioni sono molto diverse da chi, qualche ora prima, è sceso in piazza con la Cgil contro la manovra. «Abbiamo la necessità di riequilibrare l’assetto che riguarda la previdenza. E proprio per questo non possiamo fingere che mantenere lo status quo significhi difendere la povera gente, ma come è chiaro significa tutelare solo dei privilegi, che oltretutto rappresentano un conto che toccherà pagare alle nuove generazioni». Giovani contro “vecchi” allora? «Non è questo il punto. Con lo slogan scelto quest’anno vogliamo portare avanti non soltanto una legittima istanza generazionale, ma anche l’Italia senza età che ci crede, che ci mette la faccia, che non rifiuta a fare la sua parte contro l’Italia delle caste, delle corporazioni, del piagnisteo che non produce nulla». Il ragionamento della Meloni è ampiamente condiviso dai ragazzi della kermesse. Alberto Spampinato “anziano” dirigente della Giovane Italia, con i suoi 33 anni, lo conferma. «Rivendicazione generazionale sì, perché crediamo che questa generazione abbia forza e voglia di dimostrare quanto vale». C’è un ostacolo però. «La gerontocrazia e le sue posizioni bloccate. Attenzione l’età non è un dato di valore, ma è un fatto che a tutti i livelli c’è un tappo verso i giovani che non permette l’ingresso a tanti. Da parte nostra chiediamo invece che il dato oggettivo di valutazione in qualsiasi ambito debba essere ambito il merito». Concetto, proprio questo, che trova sponda nel ragionamento che il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, l’ospite d’onore della prima giornata, fa con i ragazzi: «Dobbiamo coniugare l’occupazione dei nostri giovani attraverso l’occupabilità, perché il sistema che vogliamo è quello in cui sia possibile rendere occupabili sempre, e quindi sempre utili all’accrescimento del paese, chi entra nel mondo nel lavoro». Per fare questo, e qui torna il tema delle pensioni e delle tutele, Sacconi invita le forze sociali a superare quel dualismo «tra chi ha troppe tutele perché già dentro e chi invece, come molti di questi ragazzi, non ne ha nessuna».