Zitti un po’, parla Jovanotti il Tocqueville dei poveri
Berlusconi? «Mi fa tristezza… ma non riesco a vedere in lui il dittatore che molti indicano, il soggetto contro il quale il popolo si dovrebbe sollevare». Così parlò Lorenzo Cherubini, alias Jovanotti, nella lunga intervista al mensile Max. A 45 anni l’artista romano si atteggia a opinion maker, intellettuale alla Noam Chomsky, sociologo alla Zygmunt Bauman, ma le frasi sembrano rubate da Corrado Guzzanti nell’imitazione del santone adoratore di Quelo: «Bisogna guardare a chi oggi ha vent’anni e di Berlusconi se ne strafrega, sono loro la speranza… l’Italia è tutta da fare!».
Livello della conversazione rasoterra, ma l’evoluzione del Jovanotti pensiero ha fatto salti da far impallidire Charles Darwin. Prima della condizione di homo sapiens, Cherubini Lorenzo, classe 1996, è stato paradigmatico uomo di Neanderthal del nostro Paese.
Premere il tasto rewind all’aprile del 1990. Al ventenne Cesare Casella, liberato da pochi mesi dopo due anni di prigionia sull’Aspromonte, il Venerdì di Repubblica dedica un articolo dal titolo: «E se l’ avesse salvato la sindrome Jovanotti?». Tanto per definire l’euforia ebete che aveva contraddistinto il ragazzo appena liberato. Beniamino Placido scriveva di lui: «Personalmente, lo detesto. Trovo fatuo lui, incomprensibile il suo successo». Insomma, Jovanotti sembrava l’icona della vacuità assoluta, non un disimpegno geniale alla Rino Gaetano, ma una rozza superficialità da concorrente del Grande Fratello. Non a caso Beppe Grillo (un altro che nella scala evolutiva della comunicazione ha fatto salti ciclopici) al festival di Sanremo del 1989, lo definiva in questi termini. «Jovanotti… Ma cos’è un cantante? Cos’è? È una scorreggina. Cosa gli vuoi dire a uno così? Niente, aspetti che canta. Poi gli vai dietro e gli tiri una sberla. Vai a lavorare. Vai in miniera!».
Con il passare degli anni Jovanotti è diventato un punto di riferimento ideologico. Nel ’96 il suo rap Penso positivo è citato alla convention dell’Ulivo. Davanti alla platea milanese «Madre Teresa e Che Guevara», citati da una giovane prodiana conquistano applausi. Diventa icona di Prodi e di Veltroni, della sinistra pop che mischia in un polpettone insipido Scalfaro e Luxuria, Colaninno e i no global. Ai lettori di Max offre una definizione di libertà degna di Tocqueville: «È fondamentale». Come diceva Grillo? «Cosa gli vuoi dire a uno così?».