Quando la sinistra imponeva le tasse bellissime e utili
Compagni, tirate fuori lo champagne dal frigo. Se fosse vero che il governo Berlusconi dovesse mai aumentare le imposte, ricordate l’apologo dell’ultimo ministro dell’Economia portato a via XX settembre, Tommaso Padoa-Schioppa? «La polemica anti tasse è irresponsabile. Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima…». E se qualcuno avesse voglia di lamentarsi con il ministro Tremonti per i danni arrecati a tante famiglie da Equitalia, sarebbe meglio ricordare chi è il padre della società pubblica incaricata della riscossione nazionale dei tributi. Vincenzo Visco, per gli amici Dracula, che interpellato la settimana scorsa dal settimanale Oggi ha orgogliosamente difeso la sua creatura: «Equitalia è costata un sacco di soldi, è vero che l’ho pensata io…Purtroppo ci sono meccanismi pesanti, ma servono come deterrenti: solo se la minaccia è forte uno paga».
L’Eurotassa del 1997
Più tasse per tutti, da riscuotere con ogni mezzo: in questi termini potrebbe essere sintetizzato il manifesto del pensiero unico del centrosinistra, come rivendicato da Romano Prodi. L’ex premier in una recente intervista a Il Mattino l’ha detto senza mezzi termini: «L’ho provato sulla mia pelle: Berlusconi promise l’abolizione dell’Ici, ha vinto ma ha rovinato l’Italia. So che chi parla di tasse perde consensi, ma servono rigore e disciplina o ci suicidiamo». Per dirla tutta, il Professore con il quotidiano di Caltagirone non solo ha auspicato nuove lacrime e altro sangue per gli italiani, ma ha trattato come un demente chi osa pensare a una riforma fiscale con la conseguente riduzione delle imposte: «Chi ne parla oggi viene dalla luna – ha sentenziato Prodi – il gettito fiscale non può certo diminuire». Il curriculum del Professore è coerente con i suoi postulati. Dal 18 maggio 1996 al 9 ottobre 1998, Prodi riuscì a riempire di imposte gli italiani. Memorabile la “Tassa per L’Europa”: il “pedaggio” del 1997 era destinato a contribuire al risanamento dei conti pubblici italiani, garanzia di rispetto delle condizioni poste dal Trattato di Maastricht per aderire all’integrazione economica dell’Unione Europea. Una tassa voluta e creata dallo stesso leader dell’allora Ulivo, che promise che l’avrebbe restituita integralmente assicurando che sarebbe stato l’ultimo sacrificio richiesto, in quanto una volta entrati in Europa con la moneta unica sarebbero state tutte rose e fiori. È andata come sanno tutti: agli italiani è stato infatti rimborsato solo il 60 per cento dell’imposta versata. E i sacrifici non sono ancora finiti.
Le 67 tasse del 2007
Come pure sono passate alla storia le imposte volute da Prodi al suo ritorno a Palazzo Chigi nel 2006. Dopo appena cinque mesi il computo era presto fatto: 67 nuove tasse. Dall’Irpef più cara al contributo di solidarietà del tre per cento sulle quote dei trattamenti pensionistici eccedenti i cinquemila euro mensili. Imposta di scopo per i Comuni e quella per le successioni, come pure sulla donazioni. Come pure su spese mediche, ricette, ticket, esami medici, voli, passaporti, sigarette, l’aumento dell’Ici, tasse ipotecarie, pedaggi, bollo auto, moto, carburanti. Per non parlare dei canoni pubblicitari, quelli demaniali, gli sponsor sportivi, l’export e la tassa di soggiorno. L’elenco può sembrare stucchevole e pedante, se non fosse che, al momento, la manovra di Tremonti viene contrabbandata dalla stampa di sinistra come una stangata. Fare una rinfrescatina alla memoria può essere istruttivo: l’aumento dell’Irap regionale e della tassa sul ricorso al Tar e Consiglio di Stato da 340 a 500 euro. Sotto Prodi l’Iva è aumentata sulle consumazioni obbligatorie nelle discoteche e sui fabbricati, sui beni invenduti. Con quale risultato? Nel 2007 la pressione fiscale aveva raggiunto il 43.1 per cento, il livello più alto dal 1997, in entrambi i casi con Prodi presidente del Consiglio.
Responsabilità a corrente alternata
Un altro tormentone che la sinistra sbandiera a corrente alternata è quello della responsabilità. Prendete quello che diceva Piero Fassino, da segretario dei Ds, nel settembre 2007 con i suoi al governo: «Tutti devono essere consapevoli che un altro governo non c’è e se cade questo si va ad elezioni anticipate. Chi ha la responsabilità di governare non può esporre il Paese a questo rischio». Fassino, che all’epoca parlava da aspirante leader di governo e ancora non immaginava di andare a fare il sindaco di Torino, sollecitava alla «responsabilità di onorare le aspettative degli elettori, rinsaldando la coesione e la solidarietà di governo». In quanto a lezioni di responsabilità, il Professore è sempre stato in cattedra anche da presidente del Consiglio. Le contestazioni della piazza? Roba di cui non curarsi, da irresponsabili. Davanti alle contestazioni dei benzinai, nel gennaio di quattro anni fa, liquidava la questione in toni sprezzanti: «Ah, lo so. Adesso arrivano anche i trattori. Vorrà dire che mi affaccerò alla finestra, ogni dieci minuti, per vedere chi ce l’ha con me». Era l’epoca della lenzuolata di Pierluigi Bersani, quindi le liberalizzazioni erano cosa buona e giusta. Non si parlava ancora di referendum sull’acqua. A Berlusconi e al centrodestra, che erano all’opposizione, Prodi chiedeva «un sereno contributo in Parlamento per accelerare l’adozione di misure che cambiano concretamente la vita degli italiani» e Bersani, fieramente annunciava «una lenzuolata l’anno». Oggi che le parti sono invertite, contrordine compagni.
Fassina bacchettato da Visco
Una cosa è certa. Sarebbe un errore credere che la sinistra al governo la prossima volta avrà modo di ravvedersi e puntare finalmente ad abbassare le tasse: fece una mezza promessa in tal senso alle ultime elezioni il candidato del Pd, Walter Veltroni. Ci ha provato l’ultima volta Stefano Fassina, da responsabile dell’economia del partito. Per riguadagnare consensi e conquistare un po’ di appeal con gli imprenditori e il popolo delle partite Iva ha provato timidamente ad accennare al fatto che forse sarebbe il caso di abolire gli studi di settore, auspciando perfino (udite udite) di un taglio delle tasse. Come è andata a finire? Fassina, che è stato allievo di Dracula-Visco, è stato sonoramente bacchettato dal suo ex maestro: «C’è nel Pd chi protegge gli evasori», ha attaccato l’ex ministro dell’Economia in un intervento a un convegno riportato con grande risalto dall’Unità: «Quando uno dei nostri va a parlare a una platea di artigiani urlanti e commercianti imbufaliti, alla fine è così terrorizzato che gli dà ragione». Così Fassina è finito dietro la lavagna e con lui tutti coloro che si illudono che la sinistra al governo ipotizzi prima o poi di abbassare le tasse.