Manovra: al Senato partenza col turbo
Ha superato le classiche sette fatiche di Ercole, Giulio Tremonti, quasi in silenzio, lavorando sodo. Prima la disinformazione, poi la campagna di disfattismo della sinistra, poi ancora le trappole tese dall’opposizione, gli “scandali” creati ad arte su alcune parti del provvedimento, la paura iniettata nella gente, la diffidenza di alcune categorie. Alla fine ce l’ha fatta: l’ok del Senato è arrivato in tempi brevissimi. Con 161 sì, 135 no e tre astenuti l’aula di Palazzo Madama ha infatti votato la fiducia al governo, dando segnale verde alla manovra. Il testo del provvedimento è quindi passato alla Camera che dovrebbe approvarlo entro oggi. Un vero e proprio tour de force per tranquillizzare i mercati e dare un segnale decisionista e di stabilità agli speculatori che nei giorni scorsi hanno attaccato a testa bassa i titoli pubblici italiani. Costi salatissimi all’asta dei Bot e costi altrettanto salati in termini di immagine e di credibilità. La tanto attesa disponibilità del centrosinistra a dialogare c’è stata solo in parte. Non hanno fatto ostruzionismo, ma hanno comunque votato contro, continuando a chiedere le dimissioni di Berlusconi e a invitare Tremonti a lasciare la poltrona di Quintino Sella a Mario Monti. Sulla stampa, poi, continua la campagna di disinformazione sui contenuti dei provvedimenti, definiti di volta in volta «stangata», «tagli a famiglie, istruzione, asili, bonus e ristrutturazioni». Per i pensionati, poi, sarebbe una Waterloo. Per i risparmiatori una tortonata e per Sanità ed enti locali una vera e propria catastrofe.
Ovviamente nulla di tutto questo è vero. Tremonti, intervenendo al Senato, ha ringraziato Pd, Idv e Udc per il senso di responsabilità, ma ha subito sgombrato il campo da una delle richieste che sono sul tavolo: quella di cedere la poltrona di ministro: «Non mi dimetto». E sì, perché una cosa è la cortesia, un’altra i fatti concreti. Infatti il contributo delle opposizioni al confronto è stato molto limitato. Di fronte al richiamo di Napolitano, hanno sgomberato il campo dalla barricate che nei giorni precedenti avevano contribuito a determinare i crolli di Borsa e la caduta dei nostri titoli pubblici, ma non hanno cambiato atteggiamento. Riposta la sciabola hanno usato il fioretto, meno trinariciuti e aggressivi, ma anche più subdoli e pericolosi. Quattro in tutto i loro emendamenti: tutti demagogici e senza effetto in termini di contenimento reale della spesa.
È evidente che non era questo ciò che pensava Napolitano al momento in cui ha chiesto il dialogo e che ieri, da Zagabria, ha chiesto nuove prove di coesione per il futuro. E così, forse, non la pensava nemmeno Berlusconi quando rispose positivamente all’appello del Quirinale. Ma l’opposizione nostrana è questa: per motivi propagandistici, finge di non capire una cosa che Tremonti ha sottolineato: «La salvezza non arriva dalla finanza, ma dalla politica che non può fare errori». Altrimenti, come sul Titanic, «non si salvano neanche i passeggeri di lusso». «Il debito ci divora», ha detto il ministro. Miliardi di euro vengono periodicamente immolati sull’altare del finanziamento di questa montagna di cambiali firmate dallo Stato e date in mano a risparmiatori, fondi, banche e persino Paesi sovrani. «Senza il pareggio dei conti – ha sottolineato – è a rischio il futuro nostro e dei nostri figli». Da qui l’esigenza della manovra e da qui anche il suggerimento del ministro di introdurre in costituzione «la regola aurea del pareggio di bilancio». Per l’Italia sarebbe l’uovo di Colombo, ma altri Paesi più virtuosi di noi, come la Germania, hanno già adottato regole analoghe. «Governiamo nella crisi – ha affermato Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl – con proposte all’altezza del nostro Paese. Questa manovra razionalizza la spesa e interviene sulla previdenza senza fare macelleria sociale».
Intanto il governo incassa il rafforzamento votato a Palazzo Madama. Le modifiche introdotte con il maxiemendamento – secondo la Ragioneria generale dello Stato – portano la correzione a quota 22,6 miliardi nel 2014 che aggiunti ai 25,3 iniziali determinano un movimento complessivo di 47,9 miliardi. In particolare gli emendamenti approvati (tipo quello che taglia le agevolazioni fiscali) comportano un miglioramento dei saldi di 2,103 miliardi nel 2011, 5,425 nel 2012, 6,528 nel 2013 e 22.607 miliardi nel 2014. Questa somma si aggiunge ai 25,3 miliardi (nel 2014 ) del decreto portando la correzione a circa cinquanta miliardi.
E le critiche che arrivano dall’opposizione con riferimento alla mancata crescita? Non hanno ragion d’essere. Secondo Tremonti, infatti, i provvedimenti contengono ben 16 nuove azioni di sostegno allo sviluppo. Purtroppo non c’è solo questo. Ma molte cose non sono una scoperta dell’ultimo minuto. I ticket sulla sanità ad esempio (10 euro sulla diagnostica e la specialistica e 25 sui codici bianchi del pronto soccorso) erano già stati adottati dal Prodi nel 2007. In questo caso, comunque, le categorie deboli saranno protette, perché – spiega il ministro Ferruccio Fazio – «è prevista l’esenzione».
Movimenti certi e conti in qualche modo blindati. Il pareggio di bilancio sarà raggiunto nel 2014. E di pari passo con quanto previsto dalla manovra andrà avanti anche la delega per la riforma delle tasse che dovrebbe portare all’abbassamento della pressione fiscale, a nuovi impegni per il lavoro e ad aiuti alle famiglie. Viene resa operativa una vera e propria clausola di salvaguardia. Se entro il 30 settembre 2013 la delega fiscale non dovesse essere esercitata scatterà un taglio del 5 per cento alle agevolazioni fiscali (160 miliardi l’anno), che salirà al 20 per cento nel 2014. Il gettito previsto, da destinare alla correzione del deficit, è previsto in 4 miliardi il primo anno e in 20 il secondo. Molte le voci colpite, ma su questo fronte si ha a che fare con una vera e propria giungla di norme (ben 483) che prima o poi dovrà comunque essere disboscata.
Miglioramenti in arrivo sul fronte delle privatizzazioni, che prima non erano previste in manovra e adesso lo sono a partire dal 2013. Per le pensioni, invece, si punta a un maggiore equilibrio: fino a tre volte il minimo la rivalutazione è integrale, tra tre e cinque volte è del 70 per cento, oltre viene azzerata per i prossimi due anni. Tagli importanti sono previsti per le pensioni d’oro e si rafforza la parte riguardante l’aumento dell’età pensionabile, con l’allungamento di 4 mesi a regime della «finestra» prevista per il pensionamento di anzianità con 40 anni di contribuzione. Per questa via chi è entrato presto nel mondo del lavoro può uscire anche prima di aver compiuto 60 anni, quindi un obolo piuttosto modesto, ma che sarà molto gradito ai mercati.