E sul web ci rifilano un’altra colossale balla
Sbatti il titolone in prima pagina, «Manovra bocciata, la Borsa italiana sprofonda». Parola più, parola meno l’hanno fatto tutti i maggiori quotidiani on line, in diretta web, e sono rimasti in rete per quasi tutta la giornata di ieri. Dal Corriere a Repubblica, passando pure per i giornali locali, l’interpretazione è stata sempre la stessa. Non importa se ieri sono crollati quasi tutti i mercati europei e anche fuori dall’Europa, travolti da una crisi internazionale che si fa sentire sempre più forte. L’obiettivo infatti è dare sempre la colpa a Berlusconi, accada quel che accada. Anche perché la gente comincia ad avere di nuovo paura, ci sono i ticket, ci sono i bolli e chi più ne ha più ne metta. Che poi il discorso della stangata sia totalmente diverso, chissenefrega, bisogna colpire il governo punto e basta. Non a caso su facebook giravano link tutti con lo stesso refrain, con i titoli dei quotidiani on line in bella evidenza e il commento di rito (“ci stanno mandando sotto i ponti”), che era poi il commento della piccola manifestazione di piazza che ha avuto come protagoniste Rosi Bindi e Susanna Camusso pochi giorni fa. Il popolo del web, quello “religiosamente” schierato a sinistra, all’improvviso è diventato esperto di Borsa, titoli di stato, macro e microeconomia. Come dire, questo è l’andazzo, adeguiamoci, parliamo pure di cose di cui non sappiamo un accidente, va bene tutto purché il “Cavaliere nero” se ne torni ad Arcore e con lui tutto il governo di centrodestra.
Ma veniamo ai dati. Ftse Mib a Piazza Affari al di sotto dei 18mila punti, spread dei titoli pubblici italiani rispetto al bund tedesco di nuovo oltre quota 330, rendimento del Btp a dieci anni salito al 5,88 per cento. Il battesimo della manovra economica sui mercati assume, a una prima superficiale lettura, i connotati di un vero e proprio bollettino di guerra, con gli organi di stampa che, come detto, traggono le conclusioni: la Borsa (meno 3,06 per cento) non crede alla manovra. Ma è proprio così? Per nulla. Se così fosse, infatti, ad andare male dovrebbe essere soltanto la piazza di Milano mentre invece si è salvata solo Tokio, chiusa per festività. Tutto il resto, un vero e proprio campo di battaglia. In calo Seul, Hong Kong, Shangai, Taiwan, Singapore, le piazze europee e affonda perfino Wall Street (meno 1,15 per cento alle 18,45 di ieri). Si rafforza solo l’oro, il che è evidentemente indice del fatto che gli investitori sono alla ricerca di un bene rifugio. Il rally del metallo giallo continua senza sosta e, nelle contrattazioni elettroniche, è salito fino a 1.601,20 dollari l’oncia, con previsioni a quota 1.700 per fine 2011. Nel mirino anche il debito di Francia e Germania.
La speculazione alza il tiro. E gli attacchi di opposizioni, organi di stampa e agenzie di rating fanno il resto. Tanto che ieri si è mossa persino la magistratura. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo sull’andamento anomalo del mercato borsistico, dopo un report della Consob relativo alle sedute del 24 giugno, 8 e 11 luglio. E lo stesso ha fatto il pm di Trani che in passato aveva già aperto un’inchiesta sulle agenzie di rating e ieri l’ha ampliata anche con riferimento alla possibile speculazione delle ultime settimane. E, secondo indiscrezioni, anche i magistrati di Roma e Milano starebbero per aprire fascicoli in merito.
I mercati scontano questa situazione, oltre a tutto il resto. Sul tavolo ci sono le preoccupazioni per un possibile anche se improbabile default degli Stati Uniti e i timori per una diffusione della crisi del debito ad altri Paesi della zona euro. Tra l’altro si tende a fare di tutta l’erba un fascio. Sulla piazza milanese, infatti, hanno avuto vita difficile anche gli istituti bancari italiani, che venerdì scorso hanno superato brillantemente gli stress test di Bruxelles, mentre così non è stato per banche di altri Paesi, compresa la Germania. Una performance, quella dei titoli bancari, che la dice lunga sulla reale valutazione dei fondamentali italiani, nella giornata in cui alcune misure della manovra entrano in vigore e giornali e tv parlano di ribellione alla stretta sulla sanità (i ticket per i codici bianchi sul pronto soccorso e quelli sulla diagnostica e sulla specialistica) che, in realtà, si limita al fatto che alcune regioni, al momento, non hanno ancora dato corso ai balzelli da cui sono comunque esenti le fasce più deboli della popolazione.
«In fila per pagare primi ticket», scrivevano ieri le agenzie di stampa. Ma, in realtà, le file non si sono viste da nessuna parte e quelli che hanno dovuto pagare sono stati pochissimi (i nuovi ticket sono scattati solo in quattro regioni). Pesanti, invece, le ricadute in termini di effetto annuncio. A originare l’allarme i ticket contestati, Goldam Sachs che parla del persistere di un’incertezza elevata a carico dell’Italia, i soloni di Lavoce.info, per i quali la manovra è recessiva, gli organi di stampa, che giocano allo sfascio e mettono insieme sanità e superbollo per i Suv, riforma fiscale e penalizzazioni delle famiglie, pensioni d’oro e tagli alla previdenza e allo Stato sociale. Si giunge perfino a certificare, cifre alla mano, che l’ipotetica sforbiciata a deduzioni e detrazioni costerà mille euro a famiglia. Dimenticando che, al momento, è comunque di là da venire, in quanto le riduzioni, dapprima del 5 per cento e successivamente del 15, saranno operative soltanto se il governo non riuscirà ad esercitare, entro il 30 settembre del 2013, la delega fiscale.
Si ha l’impressione che si stia giocando al tanto peggio tanto meglio. E l’approvazione-lampo dei provvedimenti ha lasciato i “falchi” con l’amaro in bocca. C’è chi, pur di sbarazzarsi di Berlusconi, gioca al «muoia Sansone con tutti i filistei». È evidente, che di questo passo è difficile andare avanti. Chi dice che pagano i deboli dice il falso: i redditi più bassi sono esenti dai ticket sanitari, mentre le pensioni fino a tre volte il minimo non vengono toccate e quelle tra tre e cinque volte il minimo possono contare su una indicizzazione pari al 70 per cento del costo della vita. «Una misura ben più forte – ricorda il ministro Maurizio Sacconi – fu attuata dal governo Dini nel 1995, con l’appoggio della sinistra, e allora l’inflazione era il doppio di adesso».