Il “rispetto”? Non c’è più per nessuno
Anni Settanta, una qualsiasi assemblea studentesca in un qualsiasi liceo metropolitano. I nemici, in ordine sparso, erano i “fascisti” che dovevano tornare nelle fogne, i “borghesi” nemici storici della classe operaia, il clero, l’oppio dei popoli e soprattutto il concetto di autorità. Un concetto che, nelle stagioni successive, è stato sottoposto a un processo di delegittimazione costante, perché simbolo negativo delle società reazionarie, contrastato sia dalla sinistra radicale sia dai salotti radical chic. Niente maestro con la bacchetta, figuriamoci. Men che meno genitori troppo oppressivi, quelli che ti aspettano in casa con l’orologio in mano. È l’affermazione di una “cultura” (o presunta tale) dominante per decenni che ha generato una serie infinita di storture.
Il risultato? Padri, insegnanti e sacerdoti hanno raggiunto uno dei massimi livelli di crisi di autorità. Lo dimostra una ricerca del Censis presentata ieri a Roma: le figure che tradizionalmente definiscono leggi, limiti e regole nei vari contesti sociali hanno subito un forte logoramento. Ed è evidente che sono venuti a mancare importanti punti di riferimento specie per i ragazzi. Il 39% degli italiani pensa che il padre non rappresenti più l’autorità. La sua figura è lentamente “evaporata”. Il padre è più presente in famiglia, ma con un ruolo diverso: è una sorta di fratello maggiore che gioca con i bambini, senza essere più la «fonte di quei “no” che aiutano o dovrebbero aiutare a crescere». L’altra istituzione finita sotto la lente d’ingrandimento del Censis è la scuola. La perdita di prestigio degli insegnanti tanto che la percentuale di docenti che non rifarebbe la stessa scelta professionale è superiore a un terzo. Anche in questo caso vengono a mancare i “no”. Un’altra vittima del soggettivismo è il sacerdote come autorità morale, capace di orientare le scelte dei singoli. Tutti segnali di un declino. Che ha responsabili ben precisi.