Contro Tremonti le lobby dello “status quo”

15 Giu 2011 20:13 - di

Le forze retrograde – quelle della sinistra e dei salotti, degli intellettuali di area e dell’Ancien Régime – sono di nuovo in campo. Stavolta non c’è da salvaguardare lo status quo nei settori ingessati da decenni, come la scuola o l’università. C’è da impedire a Giulio Tremonti di andare avanti nella riforma fiscale. Non perché sia sbagliata, ma perché bisogna impedire alla maggioranza di riprendere quota e consensi. Ecco che non appena il ministro ha scoperto le prime carte, c’è stato il tiro al piccione da parte delle opposizioni. Si muovono le lobby, i partiti e i sindacati, come le truppe a Waterloo. E prende corpo quel fuoco di sbarramento che, dopo le sollecitazioni della vigilia allo stesso Tremonti ad avere coraggio, adesso rischia di scoraggiare il tentativo di rendere più equa una tassazione che penalizza i redditi da lavoro e tartassa le famiglie.

Ma le prospettive ci sono
C’è chi parla di chiacchiere, chi ha paura che i possibili inasprimenti Iva scoraggino i consumi, chi batte cassa, chi sponsorizza le imprese, chi tira in ballo l’evasione fiscale, chi, infine, dice che non si può fare nulla perché i soldi non ci sono. Argomentazione fortissima, quest’ultima, che ha un suo fondamento e, negli ultimi diciassette anni, ha impedito a Silvio Berlusconi di tenere fede alle promesse elettorali formulate nel 1994, al momento della sua discesa in campo. Ma adesso, finalmente, potrebbe essere la volta buona. Cisl e Uil si apprestano a scendere in piazza sabato prossimo per sollecitare un fisco più attento a famiglie e lavoro, mentre Tremonti annuncia che il piano del governo prevede modifiche a costo zero. La riforma – fa sapere ministro– verrà realizzata mantenendo inalterato l’impegno assunto con l’Europa per il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2014. Il movimento di riordino sarà tutto incentrato su tagli, risparmi e spostamento di risorse, con l’obiettivo di approdare a tre aliquote Irpef e cinque imposte in tutto. La politica sarà chiamata a dare l’esempio: gli incarichi pubblici dovranno essere remunerati nella media europea. «Scaglioni e aliquote – informa il ministro  – saranno messe a punto in funzione delle risorse disponibili».

La Cgil in retroguardia
Ma per Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil,  questo non basta per ottenere l’ok del sindacato. Berlusconi – sostiene –  non ha nessuna voglia di tagliare le tasse. Usa soltanto l’argomento per recuperare consenso nella sua base elettorale. Invece il Paese avrebbe bisogno di una riforma seria, perché «i  redditi più bassi sono sempre più colpiti dal fisco, mentre per gli altri si sono succeduti condoni  e scudi fiscali». Solo questo? No. A Corso d’Italia chiedono di abbassare le aliquote sul lavoro dipendente  e bocciano lo spostamento della tassazione dalle persone alle cose. A Via XX Settembre, sede del ministero dell’Economia, si fanno gli ultimi conteggi, con i quattro tavoli da lavoro che ormai sono alle battute finali. L’appuntamento è per il 23 giugno, quando è previsto il varo in contemporanea della manovra triennale e del disegno di legge delega in materia di fisco, cui dovrebbe essere attribuito il rango di «collegato». In tutto si tratta di circa 41 miliardi (8 nel 2012, 13 nel 2013 e 20 nel 2014) cui vanno aggiunti 2,5 miliardi di manovrina, prevista per l’anno in corso, come elemento di manutenzione del debito giunto ormai a 1900 miliardi di euro.

Stop alla torre di Babele
Il fisco del futuro (l’attuale normativa è ormai vecchia di quarant’anni) sta scaldando i motori. Quello a cui pensa Tremonti è un sistema più semplice, nel quale molti tributi minori «possono essere accorpati e concentrati». La ricetta prevede una base imponibile più larga, senza i regimi di favore, e le aliquote più basse possibili che rappresentano il miglior investimento per ridurre l’evasione fiscale. Il riferimento chiaro è alla «torre di babele» di 480 agevolazioni, anche assistenziali, sulle quali lavorano due dei quattro tavoli per la riforma. Scaglioni e calcoli – spiega –  dipenderanno poi da quanto si riuscirà a tagliare». L’ipotesi allo studio è quella di ridurle del 10 per cento. Una percentuale che porterebbe ad incassare circa 16 miliardi di risparmi, ammontando il gettito delle agevolazioni di ogni tipo, accumulatisi in poco meno di 40 anni di vita di questa legislazione fiscale (l’Iva è stata introdotta con la legge  633 del 1972), a circa 161 miliardi di euro l’anno. La priorità verrà data ai bonus a sostegno di lavoro, famiglie e giovani, magari raggruppandoli.

C’è una fonte da cui attingere
Il bacino in cui reperire le risorse esiste. Basti pensare alla pletora di agevolazioni, esenzioni e benefici goduti da «chi non ne ha titolo». E il ministro punta il dito, ad esempio,su «quelli che hanno il gippone», i moderni Suv, ai quali «vanno tolti gli assegni». Questo, sottolinea a più riprese, «è un Paese in cui si può dedurre tutto: dalle palestre alle finestre». Riflessione sensata che, nelle intenzioni del ministro dell’Economia, dovrebbe fare il paio con uno spostamento parziale del gettito dalla tassazione diretta a quella indiretta. Vale a dire dall’Irpef all’Iva. Un fatto per certi versi auspicabile, visto che l’Italia si colloca  a livelli troppo alti per quanto riguarda l’onere fiscale sul lavoro (42,8 per cento, davanti a Belgio 42,6 e Ungheria 42,4) e bassissimi per quanto attiene ai consumi dove siamo al terzo posto in Europa, preceduti soltanto da Spagna e Grecia in termini di minore tassazione. Questa parte della manovra dovrebbe articolarsi in un inasprimento di un punto delle aliquote Iva previste al 10 e al 20 per cento, oppure di due punti di quella agevolata oggi al quattro per cento. Con il ricavato dovrebbe essere finanziato un abbattimento dello scaglione Irpef del 23 per cento, che passerebbe al 20 con l’obiettivo di dare una mano ai redditi più bassi. Lo scambio vale complessivamente dieci miliardi e dovrebbe essere accompagnato dal prosieguo della lotta all’evasione fiscale.

Il “nero” a livelli alti

Il sommerso, infatti, secondo quanto risultato a uno dei tavoli di lavoro di Via XX Settembre, è nel nostro Paese di 275 miliardi e consente ancora ampi margini di recupero. Esistono però delle perplessità, legate al fatto che l’aumento Iva rischia di avere ripercussioni sui consumi, oltre ad avere effetti sull’inflazione. Una prima tranche di riforma del nostro fisco che, se le condizioni politiche lo consentiranno, potrebbe avere effetti a partire  dal 2012, nel rispetto delle regole comunitarie. È evidente, infatti, che le aliquote ridotte, per quanto riguarda l’Iva, una volta aumentate non potranno fare differenze,  ma andranno applicate su tutti i prodotti e non su una parte di essi. Delle tre aliquote Irpef non si conoscono ancora i valori, ma si sa che Tremonti intende definirle al livello più basso possibile, perché in questo modo potrebbero costituire un aiuto tangibile nella lotta all’evasione fiscale. Minore è il livello di imposizione, più basso è la convenienza a non pagare le tasse. Da noi, infatti, il sommerso è imponente perché la tassazione è alta e il meccanismo di riscossione è farraginoso. Siamo in coda pure nella classifica relativa ai tempi necessari per pagare le tasse.

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