Wikipedia: l’enciclopedia dell’improvvisazione
Wikipedia, giù la maschera. L’enciclopedia dell’informazione che fa male all’informazione è stata una vera e propria “manna” piovuta dalla rete in questo millennio su giornalisti pigri e studenti svogliati che vogliano fare articoli e ricerche in pochi minuti. Sono sempre di più gli errori che vengono scoperti dagli utenti, ma il dato rilevante è un altro: il mancato controllo delle fonti e la disinvolta leggerezza di chi pure dovrebbe fare da filtro alle notizie rendono ormai possibile la sostituzione della verità con Wikipedia. Si è arrivati a un “Wikipedia dixit”, dunque, una realtà spesso virtuale che propaga notizie così malamente controllate con una tale velocità e ampiezza, da essere in grado di cancellare dalla memoria i fatti veri. Un po’ troppo per una struttura che si professa libera e indipendente e che in buona sostanza non è né l’uno né l’altro. E le modifiche che un qualsivoglia utente volesse comunicare vengono filtrate da funzionari anonimi che hanno però il potere di controllo e di giudizio. Senza alcuna garanzia di professionalità o imparzialità. Lo stesso sito a pie’ di pagina avverte che «non dà garanzia sulla validità dei contenuti», ma spesso è proprio la realtà, non tanto la validità di un contenuto, a diventare un fatto secondario. Va da sé che se gli errori che vengono scoperti non possono essere modificati e corretti in tempi decenti; che se i giudizi critici spesso sono sommari; se commenti, dati ed eventi della nostra storia recente non sono verificabili o cambiano quotidianamente a seconda di chi ci mette le mani, allora sarà il caso di chiamare le cose con il loro nome: siamo in presenza di un’enciclopedia ideologizzata. Ad attirare le maggiori critiche sono soprattutto gli errori, ma anche le interpretazioni di singoli eventi o personaggi, soprattutto se politicamente sensibili.
Del resto, chiunque può creare una voce su Wikipedia e sempre più utenti si chiedono: qualcuno controllerà che io non abbia scritto castronerie? Quando una pagina viene creata/modificata, gli amministratori si fanno delle ricerche per controllare la veridicità di quanto io abbia scritto? E se uno scrivesse una cosa del tutto inventata in una scheda, riceverà sanzioni oltre al cancellamento della modifica? Le risposte in questi casi sono ambigue e per lo più negative. Un collega un giorno stava scrivendo un sms, ma avendo sbagliato a digitare i numeri gli uscì la parola “enucatl”, allora pensò: “sembra il nome di un dio azteco”. Quindi, insieme a un amico buontempone fecero un articolo su “enucatl e il tiranno mauro”, lo misero poi su Wikipedia e l’articolo rimase per ben otto mesi prima che qualcuno si accorgesse che era uno scherzo, ma anche dopo che fu scoperto non gli hanno fatto niente (tranne la rimozione dell’articolo).
Ma il paradosso al contrario è capitato a un altro collega che volendo correggere una cosa facile facile come la propria data di nascita, ne ha fatto richiesta sentendosi invece chiedere “mi citi le fonti”…. Morale: giorni e giorni di attesa per vedere riportato correttamente il suo “dies natalis” assieme ad altre notizie familiari. Una contrarietà capitata anche al semiologo Umberto Eco, che ha di recente accusato: «Ho trovato su di me delle follie inesistenti, e se qualcuno non me le avesse segnalate, sarebbero rimaste ancora lì». La realtà virtuale che si sostituisce alla verità fa i suoi danni sempre, ma quando a usarle senza criterio è un giornalista “pigro” diventa più grave: se provate a cercare su Wikipedia notizie vere e ormai acclarate sugli anni di piombo e sulle vittime degli opposti estremismi – cosa capitata proprio un settimana fa in occasione del giorno della memoria delle vittime di quegli anni – trovereste mezze verità o falsità rivelatisi tali nel corso delle inchieste giudiziarie, senza che i “benemeriti” controllori delle fonti si siano posti il problema di controllare e aggiornare eventi di 30-40 anni fa ormai certificati. Con il risultato di propalare disinvoltamente palesi inesattezze che giocoforza avranno lo “status” di verità per i più. Invocare qui la “pigrizia” di un cronista è ben più grave in quanto ne va di mezzo la stessa deontologia professionale.
Ora, in tutte le comunità accadono piccoli errori. Episodi spesso marginali, che vanno però criticati per il bene della comunità. Invece la comunità di Wikipedia “deve essere” talmente perfetta al punto che, da quando esiste, non risulta che alcun amministratore sia stato né punito né richiamato per le proprie leggerezze. Una infallibilità quasi papale, che sconcerta. Come sconcerta che una significativa percentuale delle segnalazioni di errori si chiudono con pesanti sanzioni nei confronti del segnalante. Della serie: non usate quella pagina o tutto si ritorcerà contro di voi. È stato calcolato che nell’intero 2009 sono state aperte solo otto segnalazioni, chiuse con cinque blocchi operati sui segnalanti. La realtà è che gli “amministratori” e i “burocrati” che monopolizzano il progetto non hanno esitato ad espellere senza argomenti o falsi argomenti coloro che non condividevano la loro opinione. L’espulsione senza motivo apparente di utenti è stata tempo fa denunciata da una pubblicazione, The Register, che scoprì una mailing list occulta attraverso la quale un ridotto gruppo di amministratori prendevano decisioni sui contenuti al margine della comunità, accordandosi sull’espulsione degli utenti che ostacolavano i loro piani.
Il rischio che si arrivi al paradosso di una verità decretata “a maggioranza” da chi ha in mano strumenti di largo consumo è forte nel caso di Wikipedia. Un caso che somiglia molto alla situazione segnalata da quell’Anonimo Ateniese che ne La democrazia come violenza espresse la critica più radicale nei confronti di quel modello politico che pure nell’Atene periclea sembrava perfetto: un sistema che pone tutti sullo stesso piano, per l’anonimo scrittore, consente anche alla parte peggiore del popolo di far prevalere i suoi interessi, proprio sfruttando il principio democratico, in base al quale le decisioni ( o le distorsioni) vengono prese a maggioranza. Del resto, il sapere enciclopedico è sempre stato uno dei tasselli per la fondazione di un nuovo potere. Lo sapevano gli enciclopedisti del ’700, Diderot e D’Alambert, che volevano sottrarre al clero il primato del sapere e imporre una nuova forma di pensiero. Il sapere è potere, lo si sa non da oggi, e basta fare qualche semplice ricerca sul web per capire quale posizione dominante abbia oggi Wikipedia nella diffusione della conoscenza online. Basta saperlo e diffidare i nostri studenti dal prendere per oro colato il suo verbo. Con questa enciclopedia pseudo-libera, del resto, hanno avuto un contenzioso persone illustri, come Barack Obama, che nel marzo 2009 Wikipedia ha messo sotto osservazione i dati biografici di Obama, riservandoli ai cosiddetti “top editor”, i collaboratori più fidati del sito. Questo per evitare conflitti sul certificato di nascita del presidente e sulle sue amicizie con il discusso reverendo Jeremiah Wright e con William Ayers, accusato di militanza terroristica negli anni Settanta. Notevole, poi, fu la gaffe di Segolène Royal, già candidata socialista all’Eliseo, che nel 2010 ha citato in un discorso il naturalista Léon-Robert de l’Astran, luminoso esempio di antischiavismo. Peccato che lo studioso esistesse solamente sulle pagine di Wikipedia, frutto della fervida fantasia di un utente.