La piazza aggettivata, l’ultima tecnica del potere…
Esistono piazze di serie A e piazze di serie B. O meglio, ci sono piazze politicamente corrette, che rispondono alle esigenze e agli umori degli analisti, e piazze che invece sono da condannare a prescindere, anche se pacifiche e racchiuse nei confini della legalità. Il termometro per misurare la validità delle manifestazioni è nelle mani di chi controlla la comunicazione, sia televisiva che della carta stampata: così escono fuori le pagelle, si etichetta la gente che partecipa ai cortei, si stabilisce se è gente “perbene” o gente “permale”. Un esempio evidente, nelle ultime ventiquattr’ore, è quello di Belgrado: al di là del giudizio su Mladic, l’ex generale serbo-bosniaco catturato dopo sedici anni di latitanza, le diecimila persone scene in piazza per sostenerlo sono state timbrate come ultranazionaliste, estremiste, violente, teppiste. Vista la cattiva fama di cui gode lo stesso Mladic, l’esperimento mediatico si presta a una sola chiave di lettura: l’obiettivo è dare al termine “nazionalismo” una valutazione del tutto negativa, collegandolo in qualche maniera a chi è accusato di crimini e genocidio contro l’umanità.
Ma questo è solo l’ultimo episodio di una lunga serie. Basti pensare a quel che accade dentro le mura di casa nostra. Se i centri sociali contestano la riforma universitaria si parla di “giovani” che protestano contro la Gelmini, trasformata sic et simpliciter nella controparte negativa. Così come se alcune migliaia di donne, tutte politicamente schierate a sinistra, scendono in piazza sono le rappresentanti dell’universo femminile che s’indigna per il comportamento del premier. Nello stesso tempo, se altre donne, stavolta simpatizzanti del Pdl, organizzano un sit-in sotto il tribunale di Milano per sostenere Berlusconi, diventano un fenomeno da baraccone, le classiche casalinghe influenzate dai vari Grandi fratelli targati Mediaset. Con lo stesso metro i gay che sfilano in corteo sono rappresentanti dell’orgoglio gay. Ma se a Mosca in centinaia di migliaia manifestano per protestare contro le adunate degli omosessuali, allora sono gli omofobi. I sostenitori di Marine Le Pen sono xenofobi. E sempre xenofobo è chi si oppone all’immigrazione selvaggia o contesta la clandestinità.
I media, poi, tendono ad accreditare l’equazione che le contestazioni di piazza equivalgono anche alla volontà popolare. Ma in realtà così non è. Alle piazze piene corrispondono spesso le urne vuote. Le contestazioni e i cortei sono tanto più necessari quanto più gli organi d’informazione e la democrazia non funzionano. È il trionfo della piazza mediatica che trasforma qualche migliaio di giovani iberici, definiti ampollosamente “indignados”, nei becchini del modello politico ed economico spagnolo, a cui si pretende di intonare il de profundis. Si tende, dunque, a determinare simpatia per alcuni ambienti e antipatia per altri. Siamo, in sostanza, alla piazza mediatica che qualche volta, però, finisce per fare harakiri. Quanto successo in Serbia, e soprattutto i commenti che ne sono seguiti, fa capire quanto forte possa essere oggi il pericolo della piazza mediatica. I dimostranti non erano dei santi, ma da questo a definirli ultranazionalisti ce ne corre. Quello che è certo è che il corteo è stato controllato a vista da massicci cordoni di agenti antisommossa e i domostranti hanno scandito a lungo slogan in onore di Mladic e contro il presidente Boris Tadic definito uno “sporco traditore degli interessi della Serbia” avendo avallato la cattura di un “autentico eroe” e la sua consegna al tribunale dell’Aja. Ma cosa c’entra questo con l’ultranazionalismo? Nulla se non il fatto che i manifestanti hanno cantato a lungo canzoni serbe.
Piazza equivale a impegno e voti? È successo pure alle amministrative. A Ignazio La Russa – che in un’intervista aveva detto che a Milano sono stati i voti della Lega a mancare nella sfida per il sindaco – Umberto Bossi ha replicato affermando che i leghisti sono stati gli unici che in qualche modo si sono visti per strada. «Va bè che La Russa è da solo – ha osservato il Senatur – e quindi anche se va in strada non lo vede nessuno». Un modo come un altro per affermare che il Carroccio si è mobilitato veramente, anche se gli organi di stampa non se ne sono accorti. Già, ma non è detto che l’impegno si sia tramutato in voti.