Gasparri: il pensiero cattolico base della nostra identità
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando un frate francescano (fra Giacomo da Poirino) venne sospeso a divinis con la colpa di essere andato al capezzale di Cavour e di averlo confessato in punto di morte. L’aneddoto è stato ricordato da monsignor Rino Fisichella, al convegno dedicato al «contributo dei cattolici all’Unità d’Italia» organizzato dalla Fondazione Italia Protagonista e dall’Associazione Cuore Azzurro.
Un rapporto inscindibile, quello tra unità d’Italia e storia del cattolicesimo, come ricordato appunto dal presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. «Siamo cattolici, basta, non c’è niente altro da aggiungere – ha ricordato Fisichella – È vero, il non expedit è un fatto storico, ma c’è stato spazio anche per i cattolici “transigenti”». Per distinguerli dagli intransingenti. Se oggi, ha sottolineato Fisichella, «noi possiamo celebrare i cento cinquant’anni, c’è stato un processo dinamico, che l’ha posto in essere, molto prima del 1861, prima di quella realtà unitaria. La figura di Gioberti, ad esempio che proponeva l’unificazione dell’Italia federale sotto il patrocinio di Pio IX è emblematica». Un’unità, ha aggiunto il prelato, «costruita nella complementarità» in cui inserire «una parte molto attiva del mondo cattolico. E per molti cattolici non fu esprimere quei comportamenti che hanno portato all’unificazione del Paese. Penso al povero frate chiamato al capezzale del Conte di Cavour. Sospeso perché a Roma non volevano che confessasse e assolvesse Cavour». Come pure, all’interno di situazioni di grande conflittualità, sono emerse figure dimenticate, come il giurista e patriota cattolico Vito D’Ondes Reggio. Fisichella ha citato una frase di grande attualità «E che ancora oggi condivido in pieno. Intendiamo essere cattolici senza epiteti di sorta». Senza l’aggiunta di termini come liberali, riformisti, conservatori od ogni altro attributo.
Come spiegato da Lucetta Scaraffia, curatrice del volume I cattolici che hanno fatto l’Italia dopo l’unità, per una sorta di «eterogenesi dei fini» le «indubbie violenze e prevaricazioni nei confronti dei cattolici» anziché «indebolire la Chiesa l’hanno purificata e anche fortemente modernizzata». Al di là dei conflitti istituzionali «c’è stata una collaborazione che molte congregazioni di vita attiva – soprattutto quelle di origine piemontese come i salesiani e le figlie di Maria Ausiliatrice, o le suore carcerarie della marchesa di Barolo – hanno realizzato con i governi che si sono susseguiti al potere nei primi decenni dell’Italia unita». Per la docente di storia contemporanea de La Sapienza, «queste iniziative hanno avuto il merito di anticipare, nella maggior parte dei casi, la conquista dei diritti fondamentali della donna e dell’uomo in un periodo in cui la preoccupazione della società civile era quella di formare una coscienza ai propri cittadini». Così che «i religiosi si sono rivelati ma preziosi collaboratori di chi voleva fare gli italiani dopo che l’Unità della Penisola era stata raggiunta». Una lezione “bonsai”, quella della Scaraffia, nella quale ha ricordato che proprio le istituzioni nel mirino degli anticlericali, (dalle banche cattoliche agli ospedali, dalle scuole agli istituti religiosi che hanno un minimono di scopo di lucro) sono nati per far fronte alla impossibilità di avere altre entrate dopo l’unità d’Italia.
Prima dell’unità, ha ricordato Maurizio Gasparri c’è «una storia millenaria, l’Italia si è formata che ha avuto nel risorgimento il suo riconsocimento di stato nazionale, ma prima ancora si espressa attraverso il cristianesimo». Non a caso, ha ricordato il capogruppo del Pdl in Senato, «uno dei momenti più importanti delle celebrazioni è stata la lettera di Benedetto XVI che ha ricordato il contributo fondamentale del cristianesimo». Da qui «la storia d’Italia non si limita ai 150 anni di unità ma comprende anche i secoli del pensiero cattolico, le cattedrali, l’arte. Il pensiero cattolico ha costituito una parte essenziale dell’identità italiana: senza la religione cattolica, l’Italia non sarebbe quello che oggi è».
Un «idem sentire» come ricordato da Stefano De Lillo, senatore Pdl e tra i principali promotori dell’associazione Cuore Azzurro, che ha riproposto le figure di personalità fondamentali nella storia dell’unità della nazione come il beato Antonio Rosmini e Silvio Pellico. Proprio su quest’ultimo, il senatore Pdl ha lanciato la proposta di riportare Le mie prigioni tra i principali libri di testo scolastici. «Una personalità cattolica che per i valori espressi e per la sua battaglia di libertà è paragonabile a quelli che in tempi più recenti sono stati per l’India Ghandi e per il Sud Africa Nelson Mandela». Un’unità, secondo De Lillo, «subita a livello istituzionale ma alla quale la gente comune, i cattolici hanno partecipato senza indugi».
Nelle stesse ore arriva l’appello del cardinale Angelo Bagnasco che sollecita i giovani e i cattolici a tornare a impegnarsi in prima persona nella vita politica partendo «dalle sorgenti della vita cristiana» per continuare a partecipare alla costruzione del Paese.
L’appello del presidente della Cei è partito in occasione di una cerimonia religiosa nella basilica di Santa Maria Maggiore in cui hanno preso parte i vescovi italiani, proprio in occasione dei 150 anni dell’Unità. «In questa particolare stagione – ha detto Bagnasco – sentiamo di dover invitare i cattolici, e in particolare i giovani che ne avvertono la vocazione, a sperimentarsi in quella esigente forma di carità che è l’impegno politico». «In tal modo – ha aggiunto il presidente della Cei – vorremmo contribuire anche in questa fase storica, come accadde all’inizio dello Stato unitario o nell’immediato dopoguerra, alla permanente costruzione del nostro Paese». Un secolo e mezzo dopo, da lassù, fra Giacomo da Poirino, benedice e ringrazia.