E tra i rumeni cresce il sogno di avere una casa in Italia

3 Mag 2011 20:04 - di

Il sogno di una casa di proprietà ha contagiato anche gli stranieri che vivono e lavorano nel nostro Paese. Secondo un’indagine del broker on line Mutui.it l’11,04 dei preventivi per l’acquisto della prima abitazione è compilato da cittadini di nazionalità straniera e in testa alla classifica, con il 32,4 per cento di richieste sul totale, c’è la comunità rumena molto cresciuta negli ultimi anni e ora la prima in Italia, immediatamente seguita dagli albanesi. Un dato significativo che per Ramona Badescu, consigliere gratuito del sindaco Gianni Alemanno per i Rapporti con i rumeni, «sfata i molti luoghi comuni che esistono sulla comunità rumena in Italia. I rumeni che vivono qui, lavorano, guadagnano e partecipano attivamente alla vita del Paese. Le statistiche dicono chiaramente che con il loro contributo aiutano ad aumentare il Pil italiano».

Come mai i rumeni sono in cima alla classifica per l’acquisto della casa?

L’idea di mettere la prima pietra nel posto dove si vive è un desiderio forte nella mentalità rumena. Nel nostro popolo è radicata la voglia di vivere in una casa che possibilmente non sia in affitto.

Quindi l’integrazione sta funzionando?

Certo. In Italia vive oltre un milione di rumeni e sono persone ormai radicate nel tessuto sociale ed economico del Paese.

Il binomio negativo “rumeni-delinquenza" è ormai tramontato?

Quello è stato un periodo nero. Con la libera circolazione in Europa è chiaro che tra le persone perbene s’infiltra anche chi spesso non fa onore al nostro Paese. In molti vengono in Italia con l’idea che qui sia più facile delinquere. Ma tra ottobre e novembre entrerà in vigore un decreto Ue che stabilisce che chi compie reati potrà o dovrà scontare la pena nel Paese d’origine. E da noi le carceri sono molto più dure.

Com’è cambiato il volto dell’immigrazione rumena in Italia?

Ormai possiamo parlare di seconda generazione di rumeni. I primi flussi migratori  risalgono al 1990 dopo la rivoluzione di Bucarest. Prima di allora era molto difficile uscire dal Paese. Limitazioni che anch’io ho vissuto direttamente sulla mia pelle: pur essendo figlia di un membro del Partito comunista potevo fare le mie tournée soltanto nei Paesi comunisti. Dopo il ’90 la gente ha cominciato a fare le valigie con il sogno di lavorare all’estero per guadagnare un gruzzoletto di soldi e poi tornare a casa. Ma poi molti si sono fermati lì dove hanno trovato lavoro. Anch’io avevo questo pensiero, ma adesso vivo qui da ben ventuno anni. E anch’io ho un mutuo sulle spalle. Ma non è tutto oro quello che luccica…

In che senso?

Qui le case costano tanto e solo chi ha un lavoro ed è contrattualizzato può permettersi questo privilegio. In realtà se le cose fossero diverse i rumeni con la casa di proprietà sarebbero molti di più. Moltissime persone che lavorano qui non conoscono i loro diritti. Spesso si gioca sull’idea della precarietà del soggiorno di uno straniero e così non ci sono le regolarizzazioni in campo lavorativo. Nel mio ufficio in Campidoglio incontro i miei connazionali con i quali parliamo di vari problemi e quello della mancanza di un contratto è il più frequente. Questo significa, chiaramente, che chi non ce l’ha non può prendere neanche un mutuo per l’acquisto della casa o un prestito per la macchina. Tanti non sanno, per esempio, che i contributi vengono versati nelle pensioni rumene. Questa novità è scattata da quando la Romania è entrata a pieno titolo in Europa. È un aspetto importante perché con la regolarizzazione del rapporto di lavoro si dà dignità al lavoratore.

Il suo ufficio come si sta muovendo?

Sto lavorando per trovare un accordo con le banche in modo tale che i miei concittadini possano avere agevolazioni bancarie, non solo per la casa ma anche nello sviluppo delle loro imprese. Sono molti quelli che, partiti da zero, ora hanno costituito piccole imprese.  

Perché si sono radicati l’Italia?

Il vostro Paese è il nostro fratello maggiore, quello più ricco, più bello, quello che offre maggiori possibilità. Un po’ come era l’America per voi negli anni dell’emigrazione.

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