Dal rock all’endorsement per Pisapia: Celentano straparla
Nelle consultazioni amministrative di domani a Milano si è schierato, baracca e burattini, con Giuliano Pisapia, rendendosi protagonista anche di un intervento ad Annozero in barba alle più elementari regole della par condicio. Crede di poter fare tutto quel che vuole, Adriano Celentano, un trascorso da irregolare che è stata la sua fortuna, un presente da (finto) irregolare che gli consente di trasformarsi in altoparlante politico della sinistra. Sarebbe meglio se rimanesse in silenzio, con stile, anche perché non è un filosofo e nemmeno un politologo. Ma soprattutto per “rispetto” ai rocamboleschi cambiamenti di fronte che gli hanno procurato varie etichette, passando da conservatore a democristiano, da uomo (quasi) di destra ad ambientalista, da moderato a grillino.
Tutti conoscono le sue origini, le prime canzoni, i suoi film, perfino i ricordi del ’56, ai tempi della rivolta d’Ungheria, quando nel quartiere in cui viveva riferiscono avesse simpatie missine (lo ha ricordato tempo fa il giornalista Maurizio Cabona). «Reazionario e molleggiato», lo hanno definito alcune cronache giornalistiche e lui non ha mai fatto nulla per smentirlo. Il ritiro nell’eremo della villa di Galbiate, i 150 milioni di dischi venduti (che gli avranno pur fruttato qualcosa in termini economici), le scorrerie in tv, i temi trattati attraverso le canzoni e i film. Da Chi non lavora non fa l’amore del 1970, un inno contro lo sciopero lanciato proprio negli anni della contestazione, a Siamo la coppia più bella del mondo sul matrimonio (un brano che irritava la sinistra); fino a Yuppi Du, portato sugli schermi nel 1975, che completa il percorso ecologico del cantante, espresso a livello musicale con Il ragazzo della via Gluck, di spunti e di giravolte ce ne sono a iosa. L’ecologia è presente anche in Un albero di trenta piani, poi si sono susseguite le battaglie contro la caccia e il nucleare. Resta forte l’urlo contro la cementificazione e l’attacco alla civiltà metropolitana che ha mandato in soffitta la cultura contadina.
Il “re degli ignoranti”, come lui stesso si è definito in occasione di una trasmissione televisiva di qualche anno fa, con la cultura di sinistra ha sempre avuto una sorta di incompatibilità, anche se poi – misteriosamente – si è collocato da quelle parti. Nel ’94 del resto, come lui stesso conferma al settimanale L’Espresso, ha votato per Berlusconi appena sceso in politica, convinto che con il Cavaliere si potesse cambiare rispetto all’andazzo del cinquantennio democristiano. Speranza, si ipotizza, relativa soprattutto all’efficienza e alla concretezza, in quanto non risulta che le simpatie cattoliche del cantante fossero a quel punto cambiate. Adesso, invece, la virata è di 180 gradi. Pisapia gli piace «perché ha la faccia da bambino». Ma, qualora vincesse, saprà governare Milano? «Dice cose importanti», afferma Celentano. Del resto, sull’altro versante, basta guardare ai programmi dell’Expo per capire «la forza distruttiva di Formigoni e della Moratti», fatta di grattacieli e di cemento. Una posizione ideologica, quindi? Non del tutto. L’appello per Pisapia del “Molleggiato”, ha origini anche più concrete. Gli brucia non andare in tv. Dice che c’è stato un veto dell’ex direttore generale della Rai, Mauro Masi, al suo ritorno sul piccolo schermo e accusa «gli assatanati di Berlusconi» di occupare «tutte le reti tranne quella di Mentana».
C’è il concreto sospetto che la sua filosofia è consumare piccole vendette politiche. Le elezioni amministrative milanesi non sono con ogni evidenza il problema, rappresentano l’occasione. Ha deciso di schierarsi e sembra sposare tutta un’area. Perde un po’ anche il senso della misura. Bravo Bersani, bravo persino D’Alema. Ma il più rock di tutti è Di Pietro. Beppe Grillo, poi, è un vero capolavoro: «Una battaglia grandiosa la sua. Credo – afferma – che lui stia tracciando il percorso di un futuro politico. Le sue “Cinque stelle” condizioneranno i governi di tutte le regioni… L’Italia si sta svegliando, ci troviamo nel bel mezzo di un grande inizio che non poteva che venire dai milanesi».
A 73 anni (tante sono le primavere che Celentano ha sulle spalle) l’ottimismo è un obbligo? Domanda Malcom Pagani, il giornalista de L’Espresso che lo intervista e che capisce che su alcune questioni forse si stanno superando i limiti. E lui: «Per completare l’opera, e ci vorranno anni, sarà necessario un perfezionamento per il quale Grillo e Pisapia non basteranno più. Avranno bisogno di un terzo elemento. Un vero rivoluzionario che loro due dovranno diligentemente seguire con umiltà… potrei essere io, ma sono troppo vecchio ormai».
Una provocazione, è chiaro. Ma che è tutta in linea con il personaggio. Vive una vita agiata («mi considero un ricco che…»), ma pretende di dire ai più, quelli che ogni giorno si guadagnano il pane combattendo con il coltello tra i denti, com’è e come non è Milano, oltre che come dovrebbe essere. E che ne sa lui? Certo non fa la spesa al supermercato, non si alza ogni mattina alle 5,40 per andare a lavorare in ospedale, non soffre i problemi del traffico, come succede a un autista dell’azienda milanese di trasporto pubblico o a un guidatore di taxi. E allora cosa vuole? È contro Berlusconi e si aggrega con chi come lui lo osteggia, in politica e nella vita. Ma con il rivoluzionario Pisapia, francamente, continua ad avere in comune davvero poco. I trascorsi dicono che i due, da giovani, non avrebbero forse nemmeno potuto prendere un caffè insieme. Ma, si sa, i tempi cambiano… E, in ogni caso, Celentano è rock: nessuno se ne dimentichi. Almeno così lui ritiene. E sono in molti a fargli consolidare questa convinzione, in primis Santoro. Sarà pure rock, di sicuro non è Platone.