Berlusconi, stop a Tremonti: «Sul fisco decido solo io»
I più maliziosi sussurreranno che il primo pensiero di Berlusconi, di ritorno dalla Romania, è stato quello di rifugiarsi tra le braccia dei parenti più stretti, al sicuro dalle mareggiate che in questi giorni agitano il Pdl. I più velenosi, invece, urleranno che l’incontro di ieri con la figlia Marina potrebbe essere il primo passo verso una successione politica in famiglia, in vista di una possibile uscita di scena di un premier deluso e rassegnato. Nulla di tutto questo, a giudicare dall’atteggiamento rilassato e sereno che il Cavaliere ha sfoderato nel day after elettorale, prima e dopo la riunione, a Palazzo Grazioli, con i figli, Marina, Pier Silvio, Barbara e Luigi, preludio a una cena romana serale tutta in famiglia. Giusto per non alimentare pettegolezzi, a fine giornata Berlusconi ha tagliato corto: «Uno dei miei figli in politica? Nel caso, lo diseredo…». Davanti a sè ora il Cav ha due anni di governo e la possibilità di sparare le sue cartucce, non le ultime, forse, magari le migliori.
La conta in Parlamento
La verifica in Parlamento si farà dopo il 20 giugno, almeno una settimana dopo lo svolgimento dei referendum. C’è tempo per leccarsi le ferite e arrivare all’appuntamento con il pallottoliere di Camera e Senato, sollecitato dal presidente Napolitano dopo l’ultimo rimpastino di governo, con una maggioranza di nuovo compatta e in grado di aggredire gli ultimi due anni di legislatura con un programma incisivo di riforme. Il Pdl chiede che il governo si presenti dimissionario al voto chiesto dal presidente Napolitano. Ma la replica del capogruppo alla Camera del Pdl, Fabrizio Cicchitto, è categorica: «Il governo non si dimette e va avanti con le riforme». La polemica delle opposizioni si incentra anche sulla tempistica. Il Pdl ha aderito a una richiesta del presidente della Camera Gianfranco Fini, che ha ritenuto necessario calendarizzare la verifica dopo i referendum del 12 giugno. Al Senato, però, oggi il Pd chiederà una verifica “urgente”, nel tentativo di portare in Parlamento il dibattito a caldo, dopo la sconfitta alle amministrative della maggioranza.
Il funerale da rinviare
Nell’ultima mattinata in Romania, prima del rientro in Italia, il Cavaliere sceglie l’ironia per commentare i risultati dei ballottaggi. «Allora…», esordisce con aria pimpante davanti a taccuini e telecamere, «ho fatto una riunione e volevo fissare la data del mio funerale, ma nei prossimi giorni ho troppi impegni e quindi rimanderemo», aggiunge chiudendo la frase con una sonora risata per sdrammatizzare. Berlusconi, dopo aver incontrato il presidente Traian Basescu e aver ricevuto le chiavi della città dal sindaco, saluta i giornalisti che riescono a chiedergli nuovamente dell’ipotesi Angelino Alfano nel ruolo di coordinatore unico del Pdl: «Vediamo, abbiamo il comitato di presidenza presto» si limita a dire il premier, intendendo l’ufficio di presidenza inizialmente convocato in serata e poi rinviato al giorno successivo.
La priorità è il fisco
«Tranquilli, non ci arrendiamo» Il premier al rientro in Italia, dopo aver visto i figli, arriva nei giardini del Quirinale per la festa del 2 giugno, stringe mani e rassicura chi va a parlargli, dopo la sconfitta alle amministrative. «Il risultato era previsto, abbiamo sbagliato nella comunicazione. Abbiamo subito un gol, è vero, ma siamo ancora quattro a uno, perchè avevamo vinto le politiche, le regionali, le europee e le amministrative. E abbiamo ancora due anni di gioco», dice sorridendo. Poi aggiunge: «Avrei potuto vincere in Campania con Mara Carfagna, ma l’avremmo consegnata alla Camorra». Poi, ai giornalisti che lo assediano nei giardini del Colle, il premier garantisce: «Faremo la riforma del fisco, abbiamo i numeri per quella e per l’architettura istituzionale». E Se Tremonti non aprisse i cordoni della borsa?, gli chiedono, «Li faremo aprire. Non è Tremonti che decide. Lui propone», dice, con uno tono insolitamente gelido. Il premier svela anche un retroscena del suo colloquio con il presidente Obama: «Non ti faranno cadere, ma sono sicuro che se succedesse cadrai in piedi mi ha detto il presidente», racconta Berlusconi.
Il chiarimento con Bossi
Nei prossimi giorni, forse nelle prossime ore, il Cav dovrebbe incontrare Umberto Bossi, che ieri il premier ha sentito al telefono: “Tutto bene, noi siamo al governo a faremo le riforme», ha spiegato il capo del governo. E il senatùr: «Il governo va avanti, non so se tranquillo». Entrambi sanno bene che serve un rilancio dell’azione di governo. E per farlo, tutti e due vogliono puntare soprattutto sulla riforma fiscale. Non una semplice semplificazione ma, nella speranza di entrambi, anche una rimodulazione della pressione fiscale. In campagna elettorale, Berlusconi ha detto che con il codice unico fiscale sarà possibile abbassare le aliquote di persone e imprese. E per aggirare il veto di Giulio Tremonti, che continua a ritenere prioritario il rigore di bilancio, intende usare una soluzione escogitata dallo stesso ministro dell’Economia: spostare la tassazione dalle persone alle cose. Il nodo, però, è come farlo senza deprimere i consumi e senza penalizzare commercianti e imprese. Ormai praticamente tutti nella maggioranza sono convinti che la strada da seguire sia questa, con Berlusconi e Bossi i migliori alleati.
Il caso-Tremonti
Giulio Tremonti? «È una risorsa, non un problema». Risponde così Ignazio La Russa a chi gli chiede se il ministro dell’Economia abbia contribuito alla sconfitta non concedendo risorse. «Non è che tiene i cordoni della borsa e non molla, è che servono le condizioni», dice il coordinatore Pdl e ministro della Difesa, conversando con i giornalisti a Montecitorio. Il problema di reperire risorse per rilanciare sulle riforme è molto sentito all’interno della maggioranza, ma anche nella Lega. Che non si spinge a mettere in discussione Tremonti ma gli chiede di attivarsi per le riforme. Ieri, al termine del Consiglio dei ministri, svoltosi senza Berlusconi, i ministri leghisti si sono ritrovati a colloquio con il titolare dell’Economia. «Ma non è stato un vertice», spiega il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. A chi gli chiede se Tremonti, sia sotto attacco, Maroni replica: «Ma no. Sotto attacco è la maggioranza, dal voto degli italiani. Il segnale c’è ed è forte – sottolinea il titolare del Viminale – sufficientemente forte perchè non si sottovaluti. E io non lo sottovaluto».