Acceso convegno di Confintesa sul 1968: i pareri rimangono discordi

9 Ott 2018 16:29 - di

Nei giorni scorsi, in occasione del cinquantesimo anniversario dei moti studenteschi del 1968 si è tenuta, presso la sede romana di Confintesa, una interessante conferenza con lo scopo di ripercorrere quegli eventi al fine di comprendere cosa gli stessi hanno significato per l’Italia e per il mondo occidentale. Ha introdotto i lavori Francesco Prudenzano, segretario generale di Confintesa, il quale ritiene di individuare nel ’68 una delle tante incompiute del nostro Paese con i suoi slogan velleitari tipo “vietato vietare e tutto e subito”. Un ’68 che ha lasciato in eredità una certa irresponsabilità e un rifiuto di assumersi responsabilità ed oneri con una carenza di rappresentanza intermedia, tanto è vero che oggi assistiamo a forze politiche che cercano il contatto diretto con gli elettori scavalcando i corpi intermedi come sindacati e associazioni di categoria.

È intervenuto poi il giornalista Guido Paglia che nel suo intervento ricorda che il ’68 nacque come una rivolta contro l’autoritarismo assoluto dei baroni universitari e che tutto avvenne sull’onda lunga dei moti studenteschi pacifisti nei campus americani contro la guerra del Vietnam. Fu un’epoca di scambio di idee e di voglia di partecipare. Inizialmente il movimento non distingueva tra destra e sinistra ma presto i partiti misero il cappello sulla protesta e la stessa si divise in fazioni. I sindacati rimasero ai margini della protesta e in effetti non vi fu una vera saldatura tra operai proletari e studenti borghesi. L’assenza dei sindacati è stata la rappresentanza incompiuta. Ha preso la parola poi Giorgio Benvenuto, ex segretario generale della Uil, proprio ai tempi dell’autunno caldo. Ha esordito fornendo alcune interessanti cifre che ci fanno capire come il Paese sia cambiato in questi anni. Nel ’68 i figli nati fuori dal matrimonio erano il due per cento, oggi sono il trenta. Gli stranieri residenti erano 62.000, oggi cinque milioni. I minori di ventisei anni erano trenta milioni, oggi venti. Quindi un’Italia profondamente mutata nella sua struttura sociale ed economica. Il ’68 colse di sorpresa la società civile e politica che non erano preparate a fronteggiare ma anche a comprendere un simile evento. Vi era un grande anelito di libertà che non venne recepito dalla classe politica. Il Paese all’epoca era “ingessato” e non evolveva e la politica era inadeguata a dare risposte idonee agli avvenimenti. Il ’68 indubbiamente contribuì alla emancipazione della donna ed al miglioramento delle condizioni dei giovani che non volevano più essere oggetti ma soggetti attivi. Fu un grande movimento di partecipazione e di protagonismo di strati sociali che fino ad allora erano stati tenuti ai margini. Il Sindacato a seguito del ’68 comprese che la rappresentanza andava cambiata e resa più moderna e rispondente alle nuove richieste della società civile. Ha infine concluso il giro di interventi l’imprenditore Vincenzo Elifani, il quale ritiene che il ’68 vada visto come una fase di crescita della società occidentale che ha portato con sé valori come la emancipazione femminile e il rifiuto della guerra. Va ricordato che tutto avvenne in anni assai difficili in cui il Paese era al centro di forti tensioni internazionali. Per contro il ’68 ha portato con sé la fine della meritocrazia ed un generale appiattimento salariale. Il Sindacato per difendere i più deboli ha schiacciato i lavoratori appiattendoli tutti verso il basso e mortificando il merito. Il mito del posto fisso ha reso il Paese più pigro e meno intraprendente. Il ’68 inoltre ha comportato il crollo dell’autorità ed il rispetto della legalità. Ha fatto seguito poi un giro di domande del pubblico con relativo dibattito moderato dal giornalista Fabrizio Frullani. Il convegno organizzato da Confintesa è stato, in sintesi, un evento interessante e di pieno successo che è servito a ricordare eventi che, sebbene oramai lontani nel tempo, hanno ancora ripercussioni sulla società civile e sulla nazione.

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