Il “caso Marine”, tante affinità ma anche molte differenze con la destra italiana

26 Apr 2017 16:17 - di Carmelo Briguglio

Chi ha letto Robert Brasillach e Pierre Drieu La Rochelle, gli scrittori francesi che interpretarono il Fascismo immenso e rosso– titolo di un bel libro di Giano Accame (Settimo Sigillo, 1990) – non si è molto sorpreso che Marine Le Pen sia stata promossa al secondo turno delle elezioni presidenziali francesi. È stata battuta, ma solo di tre punti percentuali, dal banchiere rothschildiano Emmanuel Macron, ex ministro dell’Economia di Hollande, indipendente, centrista ed europeista. Due idealtipi, perfettamente contrari. 

La leader del Front National ha pescato i suoi sette milioni e mezzo di voti dai fondali antichi di consenso della “droite revolutionaire”, nei ceti operai rappresentati dal sindacalismo soreliano: un milieu ben raccontato dallo storico israeliano Zeev Sternhel in Ni droite ni gauche. L’idéologie fasciste en France, (Paris: Éditions du Seuil, 1983) (trad.it. Nè destra, né sinistra. La nascita dell’ideologia fascista, Akropolis, 1984) e prima ancora in Maurice Barrès et le nationalisme français; trad. it. La destra rivoluzionaria. Le origini francesi del fascismo 1885-1914, Corbaccio, 1997). Sono queste sorgive, che avvicinano la “rive droite” alla “rive gauche”, a spiegare il successo della Le Pen al primo turno: il Fn, primo partito nelle fabbriche e nelle città periferiche del Paese, si è conquistato un’identità sociale che promette spazi di ulteriore espansione nel ballottaggio. 

Perché Marine pesca nella “droite” di Fillon ma anche nella “gauche” di Mèlenchon

Così, da un lato Marine punta agli elettori più conservatori della tradizione gollista, a una buona quota del 20 per cento raccolto da  François Fillon, nonostante questi abbia chiesto di votare tra due settimane per Macron. La politica estera filo-russa e l’abolizione dei matrimoni gay (ma non delle unioni civili) sono alcune delle esche lanciate nel mare dei Républicains. E non per nulla la leader della Rosa Blu ha scelto di citare in tutta la campagna elettorale il Generale padre della patria. Ma, dall’altro, Marine vuole affondare le mani nei grandi magazzini proletari e anti-europeisti del compagno Mèlenchon, capo del “Parti de Gauche”, che ha conseguito un ottimo quanto inaspettato risultato: quasi un quinto dei votanti che non ha avuto alcuna indicazione per il secondo turno. Almeno finora. Un rifiuto dettato dal comune “logos” sovranista col Fn, una continuità col filone politico che, tra fine Ottocento e inizio Novecento, con Barrès, Péguy e Sorel aveva cercato di andare oltre l’antinomia “destra-sinistra”. Non riuscendoci a livello di forme politiche, ma rappresentando a livello letterario e filosofico un sentimento popolare che scorre nelle viscere della Francia profonda. «I bimbi che un giorno saranno ragazzi di 20 anni – profetizzò Brasillach -apprenderanno con oscura meraviglia dell’esistenza di questa esaltazione di milioni di uomini, i campeggi della gioventù, la gloria del passato, le sfilate, le cattedrali di luce, gli eroi caduti in combattimento, l’amicizia tra i giovani di tutte le nazioni rinate. Josè Antonio, il fascismo immenso e rosso. E io so che il comunismo ha, anch’esso, una sua grandezza del pari esaltante. Può addirittura essere che, tra mille anni, si confondano le due rivoluzioni del XX secolo». (Robert Brasillach, Lettera a un soldato della classe ’40).Suggestioni. Illusioni. Miraggi. Errori. Tragici. Che Brasillach pagò con una scarica dei fucilieri di Charles De Gaulle: proprio lui fu insensibile agli appelli di clemenza che grandi scrittori francesi del calibro di Anouilh, Cocteau e Camus gli rivolsero per salvare la vita a «uno dei più intelligenti, forse il più affascinante scrittore del primo ‘900», lo definì Carlo Bo (La Stampa, 3 agosto 1961).  Sono trascorsi tanti anni. Era un’altra “era”. Ma certo humus vive ancora; dunque, è probabile che l’union sacreè del notabilato politico cacciato dal ballottaggio – a partire da Fillon e dei residui socialisti di Hollande e Hamon – riesca a creare una diga “repubblicana” e a fermare l’alta marea populista che sospinge la Le Pen. Ma, statene certi che Marine – più nipotina di George Sorel che figlia di suo padre – ce la metterà tutta per arrivare all’Eliseo; comunque andrà ben oltre il 18 per cento di Jean Marie, umiliato nel 2002 da Chirac, il quale beneficiò dell’endorsement di tutto l’arco costituzionale d’Oltralpe. Nel frattempo, il mondo è cambiato. Ed è scaduta nel cuore del popolo la reputazione degli establishment nazionali e europei. Mai tanto in basso. Ed è invece cresciuta, oltre ogni previsione, lei, Marine che guida un partito che ha cambiato pelle. Ci sono sondaggi che già adesso l’accreditano del 40 per cento nello spareggio con Macron. E dinanzi alla mossa di autosospendersi da capo del suo partito e chiedere il voto a tutti i francesi, al di là di destra e sinistra, nella nomenklatura e nei cenacoli parigini che contano c’è tanta paura che possa andare oltre. Fino all’inimmaginabile. Ne fanno fede i maggiori giornali francesi. Le Monde titola preoccupato: “Le prèsidentielle consolide les bastions Fn“. E Le Figaro si chiede: “Comment Macron cherche le soutien de la droite“. E mentre Le Parisienne definisce, pur col punto di domanda, Marine Le Pen “Une candidate normale ?“, Liberatiòn da sinistra fa un duro richiamo al leader di En Marche! con un irriverente “Eh, Manu” che dice tutto. E l’ammonizione di Hollande al suo ex ministro – attento, non hai ancora vinto – è emblematica. 

Non ci sono destre uguali al mondo come non lo sono le Nazioni

Nell’attesa, ci sono lezioni che vengono dalla Francia ? Sì. Almeno per la destra italiana guidata da Giorgia Meloni. Ma anche per Matteo Salvini e lo stesso Silvio Berlusconi. 

La prima: le differenze. È una banalità ripetere che l’Italia non è la Francia. E replicare questa giaculatoria senza capire cosa voglia dire è pleonastico. Tuttavia, al centro-destra non servono doppiatori degli attori protagonisti sullo scenario europeo. Si guardi l’altrove, si seguano con gli occhi le scie oltre confine, si stabiliscano relazioni con propri simili. Ma senza illusioni, evitando spropositati entusiasmi. E automatismi nei programmi. E sovrapposizioni di strategie. Questa la prima lezione che viene da Parigi. La seconda sviluppa la prima: non ci sono due destre eguali nel mondo. Per la sola, e comunque assorbente, ragione che non esistono due Nazioni identiche al mondo. E poiché la stessa idea di destra politica, la sua ragione sociale è legata in modo indissolubile a quella di Nazione, la conclusione è che le destre sono tante quante sono le Nazioni. C’è la destra francese, legata alla storia, all’identità e al carattere nazionale della Francia. E c’è quella italiana, con le sue diversità. Così quella tedesca o austriaca o ungherese. Non ci sarà mai un’Internazionale delle destre. E un’Unione europea delle destre fa sorridere per la contraddizione interna all’idea: naufragherebbe su differenze e conflitti tra gli interessi nazionali in gioco. Ogni destra deve cercare la sua via. Le affinità elettive con altre destre possono essere fonti di ricerca e confronto: di rapporti “diplomatici” per così dire e con battaglie pure convergenti. Non più di questo, che pure ha una sua importanza. Molto più corretto, sotto questo profilo, l’approccio di FdI che quello della Lega. La felpa di Salvini che inneggia alla Le Pen è un eccesso. Anche se giustificato dal comune gruppo parlamentare nel Parlamento Europeo. Ecco, adesso, la terza lezione. 

I rischi del centrodestra “perfetto” e la défaillance francese delle primarie 

Dice, ancorché in contesto altro, il filosofo Augusto Del Noce: «Le nazioni possono risollevarsi soltanto per approfondimento della loro tradizione, e criticando l’ordine storico dal punto di vista di un ordine ideale» (A. Del Noce, Rivoluzione, Risorgimento Tradizione, Milano, Giuffré, 1993). Qual è la tradizione nazionale italiana di cui la destra deve tenere conto ? Torniamo alle elezioni francesi. Facciamo un esempio. Per molti osservatori uno dei pochi errori commessi in campagna elettorale da Marine Le Pen è stato criticare il Papa, peraltro in un’intervista a La Croix, il maggiore organo di stampa cattolico francese. Saltiamo a piè pari il merito: l’immigrazione. E anche il giudizio sull’opportunità della critica. Possiamo dire che Marine forse ha sbagliato: i francesi credono nella laicità dello Stato, nella religione civile della Republique. Forse. E lo stesso errore lo fa Salvini da noi. Ma il suo errore in Italia è un errore certo. Ma non per un male inteso clericalismo o per il suo contrario. Ma perché attaccare il Capo della Chiesa di Roma, anche con accenti urticanti, significa non tenere conto del peso, non elettorale, ma costitutivo e morale, della cultura cattolica nel nostro Paese. E del rapporto forte che intercorre tra tradizione nazionale e religione. Del Noce nello scritto sopra citato obietta che nella “posizione tipica del nazionalismo” i rapporti “tra tradizione e religione venivano rovesciati, nel senso che non era la seconda a fondare la prima, ma invece la conservazione della prima a implicare quella della seconda”. Ma con ciò stesso ribadisce che, a parte la gerarchia dentro la relazione, il legame tra religione e tradizione nazionale è inscindibile. E per chi vuole fare la destra negarlo equivale a negarsi. Infine, sulla stessa linea è bene chiarire, ad oggi, che c’è anche una “tradizione” consolidata ormai da elezioni e governi nazionali e locali in cui la destra è legata a uno schieramento di centro-destra. Nel quale, in questi ultimi anni ha prevalso una sorta di “perfettismo” per usare un’altra categoria di Del Noce. Cioè, si è guardato a un centro-destra diverso da quello reale per inseguirne uno “ideale”: inesistente, forse irrealizzabile. O anche la tesi di una destra – o di destre – staccata dal centro-destra classico. Qui, a parte la disastrosa esperienza del “finismo”, la visione padronale di Berlusconi ha pesato negativamente. Così anche certi accenti fuori le righe di Salvini. La parabola di Renzi e il fallimento della sua stagione di governo, il “caso Raggi” nell’amministrazione di Roma stanno facendo rivalutare molto l’esperienza e i risultati dei governi di centro-destra. Che si sono fondati su una coalizione di forze di centro e di destra. Di moderati e nazionali. C’è la tentazione a superare questa formula. Berlusconi ha immaginato governi di responsabilità col Pd. Con Enrico Letta ha inverato questa linea. E con Renzi ha sottoscritto un Nazareno che ha pesato ben più di un governo. Salvini e Meloni hanno risposto facendo balenare un’intesa con Grillo. Ma oggi ? Oggi, tanto è probabile che Marine Le Pen – pur premiata da un grande successo – sia sconfitta al secondo turno, in ragione del muro che quasi tutto l’ establishment politico ed economico, le sta erigendo contro, tanto è probabile che – come attestano i pronostici – il centro-destra italiano unito abbia buone possibilità di tornare a vincere le elezioni politiche. Fanno la differenza le differenze: tra assetti istituzionali e leggi elettorali. E tra i percorsi fatti in questi anni da destra italiana e francese. Forse un’alleanza Berlusconi-Salvini-Meloni tanto per la vittoria, quanto per la sconfitta, sia per il governo, come per l’opposizione, può essere una strada. E se le primarie sono un’ostacolo, forse – è il caso di dirlo, disambiguando un po’ -Parigi val bene una messa. Si potrebbe trovare un’altra strada, né fiduciaria né dinastica: quale, oggi è difficile dire. Peraltro, l’ultima lezione francese è che le primarie non sono l’unico viatico popolare. I due vincitori del primo turno, Macron e Le Pen, ne hanno fatto a meno. E, con tutte le dissomiglianze, è una défaillance sulla quale il centro-destra dovrà riflettere. 

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