Cento anni fa abdicava Nicola II, prima di essere massacrato con la famiglia

15 Mar 2017 18:32 - di Antonio Pannullo

Nicola II Romanov fu l’ultimo imperatore russo. L’ultimo zar. Ed abdicò esattamente cento anni fa, il 15 marzo 1917, mettendo fine all’impero di tutte le Russie. La sua fine tragica avvertì il mondo di quello che era e sarebbe stato il comunismo, ma oramai era tardi per impedire la sanguinosa rivoluzione d’ottobre, che fu favorita soprattutto dalla Grande Guerra. La Russia infatti era entrata in guerra, ma a causa di errori tattici dell’esercito zarista, conobbe disastrose sconfitte, perdendo, si calcola, quattro milioni di soldati, cosa che favorì le rivolte contro lo zar, fomentate dai comunisti e alle quali parteciparono in qualche caso anche reparti dell’esercito regolare. Ma la rivoluzione russa e la sorte degli zar aveva radici profonde: già nel 1905, in seguito al cattivo esito della guerra col Giappone, la situazione sociale ed economica della Russia era andata peggiorando: il popolo era letteralmente alla fame, sia in città sia nelle campagne. Nel gennaio di quell’anno una dimostrazione di protesta di contadini a San Pietroburgo che chiedevano riforme fu brutalmente repressa nel sangue dall’esercito zarista: furono uccise 100 persone e 1000 ferite. È vero che lo zar non si trovava al Palazzo d’Inverno, e che gli venne riferito che le truppe avevano dovuto sparare per difendere il Palazzo, ma è anche vero che da quel giorno la popolarità sua e dell’impero andò scemando progressivamente, anche per l’opera sistematica e capillare di Lenin e dei bolscevichi, che promettevano riforme e giustizia sociale. Sappiamo poi come è finita. Comunque, da quel momento inizia un periodo turbato da gravi proteste, tanto che lo zar è costretto a concedere riforme e ad adottare una costituzione, cosa che ne posporrà per qualche anno l’inevitabile fine. E’ un periodo di relativa calma, ma è solo quella prima della terribile tempesta che si abbatterà sulla Russia, grazie anche all’incessante lavoro che svolgeva Lenin dal suo esilio di Ginevra. Allo scoppio della Grande Guerra, Nicola II inizialmente tende a non entrare nel conflitto, ma poi, sotto la pressione della Francia, è di fatto costretto ad accettare lo scontro: anzi, è la Germania a dichiarare guerra per prima. Ma l’esercito russo, pur contando 13 milioni di soldati, si rivela inadeguato a fronteggiare la macchina da guerra tedesca, e subisce gravissime sconfitte, come quella sui Laghi Masuri e quella di Tannenberg. Nicola II prende il comando dell’esercito, ma la situazione non migliora: la crisi interna peggiora ogni giorno di più e i bolscevichi ne approfittano per scardinare lo zarismo. Nicola II non capisce che l’unico modo per salvare l’impero sarebbe quello di concedere immediatamente le riforme e cambiare la classe politica corrotta, e così decreta la sua fine: gli operai sono nelle strade, non ci sono più viveri, l’esercito inizia a disertare e a unirsi ai soviet, che chiedono un cambio di governo immediato. A fine febbraio a Pietrogrado il popolo insorge, aiutato anche alla polizia zarista. Lo zar si rifugia a Carskoe Selo, a pochi chilometri dalla capitale, e rimane di fatto isolato. La Duma prende il potere e il 14 marzo Nicola decide di abdicare. Il giorno successivo nekl suo vagone privato, alla presenza di due deputati della Duma, Nicola firma il documento di abdicazione in favore del figlio Aleksej, con reggenza provvisoria al fratello Michail. Costui, però, trasferisce il potere nelle mani del governo provvisorio. Da quel momento lo zar e la sua famiglia sono di fatto agli arresti nella loro residenza. In seguito al peggiorare della situazione, il capo del governo provvisorio Kerenskij fa trasferire la famiglia Romanov in Siberia, progettando per alcuni componenti l’espatrio, che però non avrà luogo. Dopo la rivoluzione d’ottobre, si decide di sterminare l’intera famiglia.

La strage di Ekaterinburg di Nicola II e della sua famiglia

Nella notte tra il 16 e il 17 luglio del 1918 veniva compiuta una delle stragi più efferate del Novecento: i comunisti russi assassinarono l’intera famiglia imperiale, donne e bambini compresi, nella famigerata strage di Ekaterinburg, città sui monti Urali dove la famiglia dello zar era stata portata dai bolscevichi. È una strage di quasi un secolo fa, ma ancora viva nella memoria dei russi, anche a causa dell’esumazione delle vittime e della fine del comunismo e dell’Unione Sovietica, che ha reso possibile il ristabilimento della verità storica. In questi decenni sulla atroce vicenda sono stati realizzati libri, memoriali, film, questi ultimi relativi alla remota possibilità che qualcuna delle figlie dello zar Nicola II si fosse salvata: in particolare Anastasia, che nel memorabile film omonimo fu interpretata da una superba Ingrid Bergman. Il film ripercorreva a sua volta la storia di Anna Anderson, la donna che sosteneva di essere Anastasia, ma che fu smentita dall’esame del dna prelevato dai corpi della famiglia imperiale riesumati. La Anderson morì in Virginia, negli Stati Uniti, nel 1984. L’eccidio di Ekaterinburg non fu l’unico, altri membri della famiglia Romanov furono assassinati prima e dopo, ma è senza dubbio quello che ha più colpito l’immaginario collettivo per la sua inconcepibile ferocia. Il deposto zar e la sua famiglia erano detenuti nella casa Ipatiev, dove oggi sorge la chiesa ortodossa denominata Cattedrale sul Sangue, in ricordo del martirio, ed erano sorvegliati da un corpo di guardia a capo del quale c’era un certo commissario Jurovskij, che fu incaricato dell’intera agghiacciante operazione. Con lo zar c’erano la moglie Alessandra Feodrovna, e i figli adolescenti Olga, Tatiana, Maria, Anastasia e Alessio, quest’ultimo ammalato di emofilia. C’erano anche quattro servitori, assassinati anche loro dalle Guardie rosse, alcune delle quali si rifiutarono di sparare su bambini e che per questo furono sostituiti da prigionieri di guerra che avevano aderito alla rivoluzione per uscire di galera. Fu una apposita seduta del Soviet a decidere l’eccidio. Quella notte, a mezzanotte, lo stesso commissario Jurovskij svegliò i Romanov, raccontando loro che sarebbero stati trasferiti. La famiglia imperiale più il medico, la dama di compagnia, l’inserviente e il cuoco furono radunati in una stanza a pianterreno della casa Ipatiev e fatti mettere in fila da Jurovskij dicendo che avrebbe dovuto fare loro una fotografia. Fuori la stanza c’erano dieci killer che aspettavano l’ordine per iniziare lo sterminio. Il commissario fece entrare la squadra e contemporaneamente comunicò ai Romanov che il Soviet aveva deciso di giustiziarli poiché i loro fedeli continuavano i combattimenti contro i bolscevichi. Detto questo, estrasse un revolver e sparò allo zar. Subito la squadra sparò alla zarina Alessandra e al figlio Alessio. Successivamente si rivolsero verso gli altri sparando all’impazzata. Spararono per venti minuti, non riuscendo a ucciderli tutti. Ad esempio, la dama di compagnia era ancora viva quando la infilzarono con la baionetta e la finirono con i calci dei fucili. Il commissario sparò ancora dei colpi di pistola contro Alessio, che rantolava. Finita la mattanza, si dovevano trasportare i corpi su un autocarro, ma deposte le figlie sulle barelle, ci si accorse che erano ancora vive, una si coprì il viso con una mano e urlò. Furono finite a colpi di baionetta. L’autocarro di diresse verso i boschi, ma a metà strada il commissario fece bruciare i corpi di Alessio e di una delle figlie dello zar, per sviare le ricerche dei russi bianchi che circondavano la zona. Successivamente il camion arrivò in una cava abbandonata dove i cadaveri furono spogliati e depredati dei preziosi che nascondevano, nonché fatti a pezzi con accette e armi da taglio. Poi furono gettati nella cava, cosparsi con acido solforico e dati alle fiamme. Il giorno successivo, il comitato centrale del partito annunciò che l’ex zar Nicola era stato fucilato in seguito a un tentativo di evasione, negando però lo sterminio dell’intera famiglia, secondo la tradizione comunista della negazione della verità per difendere la ragion di Stato. Bisognerà attendere il 1991 perché il corpo dello zar di sua moglie e di tre dei loro figli e dei quattro servitori, fossero riesumati – per ordine diretto di Boris Eltsin – e analizzati. Le analisi durarono molti anni, e solo nel 2008 si poté comunicare al mondo che l’intera famiglia imperiale era stata identificata.

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