Berto Ricci, l’anarco-fascista che riuscì a superare destra e sinistra (Video)

2 Feb 2017 15:53 - di Antonio Pannullo

Berto Ricci (1905-1941) fiorentino come Alessandro Pavolini, quest’ultimo gli rifiutò la tessera del Partito fascista nel 1932, dopo che seppe delle sue precedenti simpatie anarchiche. Ma a Roma, dove la domanda di Ricci arrivò, qualcuno che seppe tutta la storia e aveva il potere di decidere, gliela rilasciò, la tessera, argomentando: “O non eravamo anche noi tutti anarchici?”. Ricci in realtà aveva simpatizzato col fascismo fin dal 1927, ma gli ci vollero cinque anni di riflessioni prima di fare un passo che considerava definitivo. E lo fu, non cambiò mai più bandiera. Si laureò a Pisa in Matematica, e tutta la vita fece il professore nelle scuole, anche se collaborava con varie riviste culturali e politiche e fondava giornali. Di Mussolini gli piaceva la rivoluzione, ma è sbagliato chiamarlo “fascista di sinistra”, perché Ricci sintetizzò nel fascismo destra e sinistra: condivideva il fascismo-regime, quello dell’Impero, sostenendo che quando si fosse radicato avrebbe dovuto tirar fuori la sua anima sociale, come in effetti poi avvenne. Dopo la laurea Ricci collaborò con Il Selvaggio di Maccari e altre riviste fiorentine come il Bargello, il foglio d’ordine di combattimento della federazione fascista, e con Rivoluzione, l’organo degli studenti del Guf, i Gruppi universitari fascisti. Anti-accademico, poeta, populista, Ricci aveva in avversione Giovanni Gentile, sostenuto in questo da Julius Evola, che conobbe, anche lui impegnato nella battaglia filosofica anti-idealista. Nel 1931 fonda insieme con un gruppo di intellettuali in quindicinale L’Universale, al quale collaborano giornalisti del calibro di Indro Montanelli e Romano Bilenchi. Piacque a Mussolini, che gli chiese di collaborare con Il Popolo d’Italia. Nel 1936 chiude L’Universale e parte volontario per la guerra d’Etiopia scrivendo: ”non è più tempo di carta stampata”.

Ricci morì in Libia mitragliato da uno Spitfire

Nel 1940 partecipò al convegno sulla Scuola di Mistica fascista di Nicolò Giani e Guido Pallotta, insistendo sul tema dell’unità sociale e della socializzazione nell’impresa. Ricci non fu solo una dei pensatori fascisti più originali, ma probabilmente lo fu di tutto il Novecento: considerava decadenti la chiesa, il capitalismo, il nazionalismo, concetti espressi anche nell’unico saggio che ci ha lasciato, Lo scrittore italiano, ripubblicato da Ciarrapico editore nel 1984 e prefato dallo stesso Montanelli. Giudicava positivamente la Germania nazista, ma era assolutamente anti-razzista: “Nella concezione universale del facismo non c’è posto per il razzismo. L’ascaro è nostro fratello”. Incorruttibile, povero: famoso il suo pranzo di nozze, quando offrì sette cappuccini agli altrettanti invitati, viveva da spartano, in una stanza con un letto di ferro e un tavolo pieno di libri. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale ripartì volontario e fu mandato in Libia come tenente delle Camicie nere, precisamente in Cirenaica, dove il 2 febbraio 1941 uno Spitfire inglese lo mitragliò e lo uccise. È sepolto al Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari. Dopo la guerra, con decisione vergognosa ma non rara nella damnatio memoriae che l’antifascismo ha preteso di fare senza riuscirci, il comune di Firenze gli cancellò la via che gli era stata dedicata per i suoi meriti culturali. Come disse una volta a Montanelli: “Pensa che se imbocchi una strada devi batterla sino in fondo”. Come ha fatto lui, che – Mussolini vivo – non risparmiò critiche agli aspetti più grotteschi del fascismo o a quelli che vi aderivano per convenienza. Non aspettò, Berto Ricci, che Mussolini fosse appeso a piazzale Loreto per criticarlo, come fecero molti intellettuali fascistissimi.

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