Cina, contro l’inquinamento Pechino schiera la polizia anti-smog

9 Gen 2017 10:29 - di Giulia Melodia

Dopo aver imposto limitazioni al traffico e divieti di circolazione. Dopo aver dettato nuove regole ai grandi colossi industriali e aver messo al bando persino i barbecue domenicali, la Cina prova l’ultima mossa a sua disposizione: per combattere la piaga dell’inquinamento atmosferico Pechino ha creato un’unità speciale di polizia anti-smog. Basterà ad adeguarsi agli standard decisi alla conferenza sul clima di Parigi nel 2015?

La Cina schiera la polizia anti-smog

Proprio così: la Cina, che produce insieme agli Stati Uniti il 45% delle emissioni di Co2 mondiali, contro smog e tossine ha deciso di schierare agenti anti-smog. Di più: il vice sindaco della capitale cinese, Cai Qi, ha infatti annunciato che verranno adottate misure più severe per ridurre le emissioni inquinanti nei 16 distretti della città, con un “giro di vite” anche sui barbecue all’aperto. Dunque ci risiamo: il gigante asiatico che ha ammesso di emettere 10,4 miliardi di tonnellate di Co2 all’anno, riconoscendo che la sua economia è basata per quasi il 90% delle sue produzioni sui combustibili fossili, nella sua guerra all’inquinamento – globale e locale – riparte… dal barbecue. “Barbecue all’aperto, inceneritori di spazzatura, polvere delle strade: partendo dall’immediato – e dall’obiettivo più facile e indolore da neutralizzare – la Cina ha riconosciuto che tutti questi fattori non rispettano le normative e che sono troppo spesso il risultato di una mancanza di supervisione e di una attività di polizia debole”, da cui – in base a quanto dichiarato dal funzionario e riportato dalle agenzie di stampa ufficiali – adesso occorre monitorare nell’ottica di un ridimensionamento dei consumi di carbone del 30% entro quest’anno.

Le promesse disattese della conferenza sul clima di Parigi

La principale causa dell’inquinamento infernale di Pechino, che costringe i suoi abitanti a rimanere in casa anche per giorni per non respirare l’aria pericolosa, è infatti l’utilizzo del carbone da parte di impianti industriali e da parte delle centrali  elettriche. A riguardo, il vice sindaco Cai ha dichiarato nei giorni scorsi che l’unica centrale alimentata a carbone della città sarà chiusa dopo l’inverno e che altri 300.000 veicoli fortemente  inquinanti saranno ritirati. Analoghe misure sono state promesse nei confronti di industrie particolarmente inquinanti, mentre altre 2000 aziende dovranno modernizzare i loro impianti per poter soddisfare norme e richieste anti-inquinamento più alti. Riuscirà in questo modo la Cina a mantenere le promesse e ad adottare gli standard condivisi a Parigi per lo storico accordo sul clima?

Adeguarsi al protocollo parigino costa un caro…

Difficile dirlo: quel che è certo, al momento, è che per adeguarsi agli schemi fissati e raggiungere gli obiettivi preposti alla Conferenza sul Clima parigina del 2015 – quando Pechino promise di fermare l’aumento delle emissioni di Co2 entro il 2030 e di raddoppiare fino al 20% il suo ricorso all’energia pulita – , il governo cinese dovrebbe spendere molto, moltissimo – nell’ordine delle centinaia di miliardi di euro – e in un momento in cui l’economia cinese mostra segni di rallentamento, è davvero difficile sperare che Pechino abbandoni il carbone in favore dell’adozione di fonti energetiche più pulite almeno quanto più costose. E allora? Allora ben venga la polizia anti smog: in fondo neppure in Cina nessuno è mai stato severamente punito solo perché dal centro di piazza Tienanmen il colossale ritratto di Mao che troneggia dall’alto della Città Proibita si intravede a malapena, occultato da coltri di smog…

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