Stretta di mano storica a Singapore tra i presidenti di Cina e Taiwan

7 Nov 2015 13:04 - di Gabriele Alberti

Una stretta di mano storica tra il presidente cinese Xi Jinping e quello taiwanese Ma Ying-jeou, che arriva dopo sessantasei anni di rottura dei rapporti diplomatici tra un leader della Repubblica popolare cinese e uno della Repubblica di Cina, il nome ufficiale di Taiwan da quando – nel 1949 – gli esponenti del Partito nazionalista (o Guomindang) di Chang Kai-Shek si rifugiarono sull’isola dopo essere stati sconfitti dai comunisti guidati da Mao Zedong.I  due leader si sono stretti la mano prima di cominciare il colloquio. E, come preannunciato, si sono dati del “lei”, chiamandosi “signore”, senza pronunciare la parola “presidente”, per evitare di dover interrompere il dialogo sul nascere. Da allora, infatti, i due Stati non riconoscono la rispettiva esistenza e non hanno relazioni diplomatiche formali, anche se da almeno un trentennio c’è un dialogo costante. La scelta del terreno neutro di Singapore, un Paese a maggioranza etnica cinese e amico sia di Pechino che di Taipei, ha reso più facile il compito degli organizzatori, dato che non c’è un Paese ospite.

 A Singapore, qua la mano

La Cina considera Taiwan parte integrante del suo territorio, una “provincia ribelle” che prima o poi dovrà essere riunita alla “madrepatria”. A Taiwan, che dal 1996 è una democrazia parlamentare con una forte dialettica politica, le nuove generazioni non sembrano sentire legami con la Cina continentale, come hanno chiarito l’ anno scorso migliaia di giovani che hanno dato vita al movimento dei Girasoli, un’ affermazione dell’ identità taiwanese distinta da quella cinese. L’ importanza del vertice di Singapore, dunque, è più  nel simbolismo – al quale gli asiatici e i cinesi in particolare danno una grande importanza – col quale i due presidenti affermano che ciascuno riconosce e rispetta le preoccupazioni dell’ altro. «Nessuna forza può separare» Cina e Taiwan,  ha affermato il presidente cinese Xi Jinping. Xi, che  ha aggiunto: «Siamo una sola famiglia e siamo qui per evitare che si ripetano le tragedie del passato». 

Ma a Tapei non tutti vogliono il dialogo

Ma a Taiwan c’è anche chi vorrebbe una linea più dura verso Pechino: il Partito democratico progressista, principale forza d’opposizione, non riconosce il “Consenso del 1992” (il documento con cui Pechino e Taipei hanno riconosciuto l’esistenza di una sola Cina che comprende continente e Taiwan e la cui definizione è soggetta alla diversa interpretazione e definizione di ciascuno dei due Stati) e sostiene l’indipendenza formale di Taiwan ed il suo riconoscimento ufficiale a livello internazionale. Infatti centinaia di persone hanno manifestato la notte scorsa a Taipei per protesta contro il vertice. I manifestanti hanno innalzato cartelli e lanciato slogan nei quali Xi viene definito un dittatore e Ma un traditore. Secondo un recente sondaggio della National Taiwan University, la maggioranza dei taiwanesi, l’82,9%, è favorevole a un dialogo con la Cina. Solo il 7,3% degli interpellati ritiene però che Taiwan debba un giorno riunirsi alla Cina, rinunciando alla propria indipendenza.

 

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