Ecco perché le Borse non sembrano risentire del rischio terrorismo

19 Nov 2015 15:28 - di Enea Franza

Dopo i fatti di venerdì scorso la percezione del rischio degli analisti finanziari cambia radicalmente e sarebbe da attendersi una forte pressione al ribasso sui mercati azionari. Tuttavia, mentre l’apertura dei mercati finanziari in gap-down di lunedì (ovvero, a prezzi inferiori al minimo del giorno precedente) era prevedibile, l’andamento dei mercati stessi non è stato cosi negativo come, tuttavia, era pur lecito aspettarsi. Sarà l’effetto del quantitative easing, ovvero, del massivo  acquisto di titoli attuato da Draghi? A prima vista sembrerebbe di si. Ma se allarghiamo l’orizzonte di analisi, non è difficile notare che, pur in presenza di una fase di generale depressione dell’economia, il mercato azionario negli ultimi anni ha registrato, al contrario, un continuo e progressivo boom; ciò si registra sia negli USA  che, da qualche tempo, anche in Europa.  In effetti, dal 2009 al 2012 il valore di un investimento nell’indice azionario Standard & Poor’s 500 si è raddoppiato e, nel 2013, è cresciuto di un altro 18%. In particolare, non manca in America chi con sempre più insistenza, evidenzia come la crescita del valore dei titoli quotati a Wall Street sia sproporzionata rispetto all’andamento dei profitti delle società emittenti. E adesso veniamo al punto: i fatti evidenziati ci dovrebbero  suggerire qualche cosa?

Facciamo una breve premessa e, ricordiamo che il valore di una azione dipende – così insegnano nelle scuole d’economia – dal flusso futuro di dividendi che derivano dal titolo stesso; in un mercato dove gli operatori agissero in modo razionale (e che fosse trasparente) tutti dovrebbero essere capaci di prevedere l’andamento futuro dei titoli. Nella sostanza il valore attuale dei dividendi futuri dà il valore (dunque il prezzo) dell’azione. Ne seguirebbe che il “random walk” giornaliero dei mercati finanziari che è possibile osservare per ogni titolo negoziato su un mercato borsistico si spiegherebbe, dunque, solo per le notizie imprevedibili (tipo, ad esempio, avvicendamento del management, o eventi, come quello dello scorso venerdì). Spazio, pertanto,  per i tanti intermediari che, invece, sono presenti sul mercato non ce ne sarebbe molto. Tale considerazione contraddice, in primo luogo, oltre al senso comune, anche la costatazione della presenza dei tantissimi operatori sui mercati finanziari. Alcuni spiegano la pletora di intermediari finanziari che ruotano attorno alle borse valori osservando come, in questi mercati, si possa sfruttare la lentezza degli altri operatori nel comprendere i cambi di direzione dei corsi dei titoli rispetto alle aspettative di prezzo. In tal modo si realizza un  sufficiente margine di guadagno per tutti.

Borse, sbagliato pensare che alimentino l’economia reale

Tuttavia, che la teoria delle aspettative razionali non giri, sembra convincere sempre più gli economisti, che condividono più le critiche formulate già nei primi del 900 da Keynes. Secondo il citato economista inglese, nel valore delle azioni, i fondamentali non hanno molto senso. In effetti, chi ci opera cerca solo di guadagnare il massimo possibile e questo è realizzabile solo sfruttando a proprio favore quello che fanno gli altri investitori, magari cogliendo il momento migliore per uscire un attimo prima del crollo del valore di un titolo, ovvero, comprarlo quando il valore del titolo si pone essere ancora basso. Insomma nessuno ha interesse ad uscire per primo, anche se si ha un comune sentire che i prezzi dei titoli sono gonfiati. Stare anche in minuto di più nella corsa accresce, in definitiva, infinitamente i guadagni e giustifica la permanenza di una situazione di rischio. Insomma in borsa si può guadagnare sfruttando l’errore dell’altro e anzi più la situazione è a rischio, maggiore è il guadagno possibile. Quanto può durare questo tira e molla? Sotto questo aspetto, alcuni studiosi analizzando le fasi di boom-bust (espansione e frenata) delle borse ritengono di poter sostenere che se il rapporto tra prezzo del titolo azionario rispetto al tasso di profitto della corporation cui è legato supera per un lungo periodo (5 o 10 anni) il 25 %  c’è da attendersi una crisi a breve. A parte l’ovvietà di una tale considerazione  è l’indeterminatezza del lasso temporale che ci lascia perplessi; cinque o, addirittura, dieci anni non sono poca cosa e rappresentano un lasso importante di tempo nella vita di un uomo. E allora?  Ha più senso, forse, tentare di interpretare i movimenti dei corsi azionari con il meccanismo della fiducia (o della sfiducia) che accompagna i cicli economici ?  Così ragionando legheremo l’andamento delle borse valori e le logiche degli operatori finanziari, al ciclo dell’economia reale. Ma anche qui, la realtà di ogni giorno ci dimostra i cicli non sono coincidenti e che non mancano le prove che ad un miglioramento dell’economia reale, spesso, segue un peggioramento del mercato di borsa. Ovvero, che un’ economia solida potrà avere una borsa fiacca, e viceversa,  il corso dei titoli può andare benissimo anche se l’ economia è in depressione. In ultima analisi, le ragioni del disallineamento tra economia reale e finanza vanno, di volta in volta,  analizzate facendo riferimento al comportamento (ed agli interessi) degli operatori finanziari che operano su quel mercato. In altre parole, il mondo della finanza va interpretato impostando modelli comportamentali per i singoli mercati borsistici che tengano conto della struttura del mercato e degli operatori presenti. Nella sostanza – a parere di chi scrive – è proprio sulla pletora di soggetti presenti sui mercati e, sui modi di accumulazione degli enormi e rapidissimi profitti che si possono realizzare che occorre investigare per trovare strumenti idonei alla prevenzione delle bolle finanziarie. Le considerazioni che precedono, ci dovrebbe far riflettere sull’errore che spesso commettiamo quando pensiamo (e ci comportiamo) come se la borsa valori fosse, attualmente, un luogo deputato al finanziamento dell’economia reale, obiettivo che ne giustificherebbe la funzione al servizio delle imprese. Probabilmente, invece, dovremmo imparare a considerarla (e trattarla) come un mercato a se stante, che ha la mera funzione di allocare i surplus monetari dei capitalisti in cerca di rendimenti.

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