Kabobo, nuova condanna. Ma c’è chi lo considera una vittima e lo difende

27 Mar 2015 17:43 - di Luca Maurelli

La condanna è arrivata, ma anche questa sentenza, agli occhi del cittadino comune, non appare particolarmente pesante a fronte della strage commessa: 8 anni di carcere e 3 di cura per Adam “Mada” Kabobo, il ghanese che nel 2013 scese in strada con un piccone, uccise tre persone e ne ferì gravemente altre due. Il gup di Milano Alessandra Simion ha condannato l’immigrato, processato con rito abbreviato, per i due tentati omicidi commessi l’11 maggio 2013, quando aggredì due passanti che riuscirono a salvarsi dalla sua furia. Per una delle due vittime, parte civile nel procedimento, è stato disposto un risarcimento di 30 mila euro. Kabobo, che oggi era in aula, era però già stato condannato a 20 anni di appello per aver ucciso tre persone a colpi di piccone, lo stesso giorno, nel quartiere Niguarda. A subire l’aggressione, salvando la vita, furono il 24enne Andrea Carfora, colpito con una spranga di ferro mentre stava tornando a casa dopo il lavoro, e Francesco Niro, un operaio di 50 anni ferito alla testa. Il ghanese, dopo aver colpito i due passanti aveva poi proseguito la sua missione di morte massacrando a picconate Daniele Carella, Alessandro Carolè e il pensionato Ermanno Masini, che avevano avuto la sfortuna di incrociare la sua strada. I difensori di Kabobo, gli avvocati Benedetto Ciccarone e Francesca Colasuonno, contano di chiedere l’applicazione della continuazione per le due condanne, non appena la sentenza per i tre omicidi diverrà definitiva. In questo modo puntano ad alleggerire la pena complessiva che l’uomo dovrà espiare.

Sul web in aiuto di Kabobo

Gli avvocati del ghanese, che sostenne di aver agito sotto effetto di “voci” che gli parlavano, per cercare di ottenere l’infermità mentale, non sono gli unici a difendere l’assassino di colore. Sui social già da qualche mese sono spuntati gruppi che lo sostengono, considerandolo una “vittima” della mancata accoglienza da parte dell’Italia. Nel gennaio scorso, sul gruppo Facebook “Siamo tutti migranti” (oltre 400 “mi piace”) si leggeva questo post, in perfetto italiano: «20 anni di carcere per il nostro fratello Mada!!! Noi non accettiamo questa sentenza ingiusta. Mada ha dei problemi mentali causati dai razzisti che non lo hanno fatto integrare, bisogna mandarlo in ospedale per aiutarlo!! Chiediamo aiuto per lui!!!», era l’appello, sostenuto da un hashtag su Twitter, #freemadakabobo (foto in alto) e da un pagina su Instagram, “freekabobo”.

Un clandestino che doveva essere espulso

Kabobo era sbarcato, da clandestino, in Puglia, nel 2011, chiedendo subito asilo politico e ottenendo un permesso di soggiorno temporaneo. Tuttavia la commissione regionale, incaricata di valutare la sua situazione, respinse la domanda e mise fine alla validità del permesso ma Kabobo fece ricorso e divenne «inespellibile». In Puglia, nel Cie, partecipò quindi a una rivolta contro i poliziotti, venne denunciato per aver lanciato un televisore ma uscì dal carcere per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva, quindi arrivò a Milano, nel 2012, dove l’anno suscessivo, dopo aver un po’ girovagato senza controllo per la città, decise di chiudere la sua gloriosa esperienza italiana uccidendo a picconate tre persone e ferendone due.

 

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