Un docufilm racconta il Giulio Cesare, il liceo “nero di lusso” dove Nietzsche e Marx si davano la mano (ma anche no)

24 Set 2014 10:27 - di Valeria Gelsi

Compie 80 anni il liceo Giulio Cesare di Roma. E diventa protagonista di un docufilm. La pellicola, realizzata dal regista Antonello Sarno, è stata proiettata in anteprima nell’aula magna del liceo, di fronte a una platea di ex-alunni celebri, fra i quali anche quell’Antonello Venditti che ha reso il classico di corso Trieste una delle scuole più famose d’Italia. Da lui, dal titolo di due sue canzoni, è mutuato anche il titolo del documentario: Giulio Cesare. Compagni di scuola. «Non vuole essere solo un film romano, ma un documentario sulla storia d’Italia e sulla sua scuola», ha spiegato il regista a Il Messaggero, che ha presentato sulle proprie pagine il progetto di cui è partner. Il Giulio Cesare, che a Roma viene chiamato semplicemente “il Giulio”, secondo i dati della Provincia di Roma, nel 2010 era il più grande liceo classico italiano. Da qui, negli anni, sono passati Marco Pannella, Maurizio Costanzo e Tullio De Mauro, Pablo Echaurren, Franco Frattini e Serena Dandini. Ma non sono i numeri né i nomi vip dei suoi ex alunni a renderlo così rappresentativo. Il “Giulio” è una delle scuole-simbolo dell’impegno politico nella Capitale. È tradizionalmente il liceo nero, che si contrappone al Mamiani, liceo classico del quartiere Prati, liceo Rosso di lusso, come recita il titolo di un libro dei primi anni Novanta. E se il Mamiani è noto soprattutto per la partecipazione al ’68, il Giulio Cesare resta più impresso nella memoria del Paese per essere stato teatro di uno dei fatti di sangue degli anni di Piombo, l’omicidio del poliziotto Franco “Serpico” Evangelisti da parte dei Nar. Benché le canzoni di Venditti, per un fatto generazionale, facciano ricorrenti riferimenti al ’68 e agli anni precedenti, in cui la contestazione era già nell’aria ma non era ancora esplosa, è proprio intorno alla fine dei Settanta e all’inizio degli Ottanta che il documentario trova invece il suo apice narrativo. Tutto intorno, le testimonianze degli ex alunni che, attraverso memorie private e collettive, contribuiscono a descrive il cambiamento della città e del Paese negli ultimi ottant’anni: dall’inaugurazione avvenuta da parte di Benito Mussolini, che nel docufilm è raccontata dal presidente dell’Accademia del cinema italiano, Gian Luigi Rondi, ai “duetti” di Nietzsche e Marx, celebrati da Venditti, fino alle canzoni degli Zero assoluto (Thomas De Gasperi è un ex alunno) e agli amori adolescenziali dei libri e dei film di Federico Moccia. Nel resoconto de Il Messaggero sul documentario non si fa riferimento a Scusa se ti chiamo amore, la pellicola del 2008 ambientata nelle aule di corso Trieste, ma in fondo è proprio lì, nella storia tutta privata e sentimentale di Niki e Alex, più che in qualche residua manifestazione politica, che forse va individuato l’approdo della parabola del Giulio Cesare. E, se si sposa la tesi del regista, dell’immaginario italiano.

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