Beati quei popoli che si riconoscono nei simboli. Gli italiani non ne hanno più

4 Giu 2014 20:23 - di Aldo Di Lello

Cortei regali, antichi rituali, carrozze e pennacchi: è bene, ogni tanto, concentrarsi su ciò che rimane della storica simbologia politica dei popoli europei. Non è un tuffo nel passato, ma una riscoperta di radici. Perché, quando un simbolo soppravvive ai secoli, vuol dire che, nel Paese in cui ciò accade, abita un popolo orgoglioso della propria identità e della propria storia. Proviamo a mettere a confronto due feste. Quella del 2 giugno in Italia. E quella del 4 giugno in Gran Bretagna, giorno in cui la Regina Elisabetta pronuncia il Queen’s Speech, cioè il discorso al Parlamento. Della festa della Repubblica rimane la suggestione delle Frecce Tricolori, la parata delle Forze Armate in via dei Fori Imperiali, il saluto alla folla di Napolitano dalla Lancia Flavia presidenziale. Una bella giornata, tutto sommato, ma una festa all’insegna della  “sobrietà” repubblicana, senza particolare enfasi, a beneficio di un popolo comunque distratto e poco sensibile alle liturgie istituzionali. Eppure si tratta della festa nazionale per eccellenza. Non si pretende che dalle finestre e dai balconi sia tutto uno sventolar di tricolori, però un po’ più di passione  e di partecipazione, quelle sì, sarebbe lecito attendersele. Invece l’unica nota di colore  è stato il solito “bagno di folla” di Renzi, che dava il “cinque” ai passanti di via del Corso. Solennità addio. L’unica Repubblica che piace è quella informale e un po’ piaciona, che dà del “tu” ai cittadini, per poi spremerli come limoni con l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia. E per più di due decenni, dal 1977 al 2001, la Festa della Repubblica fu anche retrocessa a “festicciola”, per dare più lustro al 25 Aprile. Così, per tanto tempo, molti italiani hanno creduto che fosse quella la vera festa “nazionale”e che Bella Ciao fosse  il vero inno, invece del Canto degli Italiani di Goffredo Mameli. E poi, non era stato forse quel “reazionario” anticomunista di Randolfo Pacciardi a istituire, come ministro della Difesa, la parata del 2 giugno nel 1950? Perché allora stupirsi se gli italiani non sanno veramente cosa sia una festa nazionale? Per la verità, molti di loro non sanno nemmeno cosa sia una Nazione. E tale lacuna è, in verità, la causa prima dello scarso pathos repubblicano del nostro popolo.

Un’aria ben diversa è invece quella che si è respirata a Londra con il Queen’s Speech. Non è certo una roba repubblicana. Però è anche vero che le monarchie, antiquata o meno che sia la presenza di un re,  offrono se non altro il vantaggio di avere, proprio nel sovrano, il simbolo vivente dell’unità nazionale. La solennità dei gesti di quella giornata non può che destare l’ammirazione anche di un sincero repubblicano. Il discorso della Regina avviene secondo l’antico e solenne rituale, in cui Elisabetta II parte in carrozza da Buckingham Palace verso Westminster, scortata dalla Household Cavalry. Qui, entra dalla Sovereign’s Entrance, procedendo verso la Robin Room, dove indossa la corona imperiale e il mantello con lo strascico. La sovrana si reca quindi alla Camera dei Lord, dove si siede sul trono. A quel punto, il funzionario noto come Black Rod va a chiamare i Comuni. A simboleggiare la loro indipendenza dalla Corona, la porta della Camera viene tradizionalmente chiusa in faccia al funzionario, fino a quando questo non bussa con il suo bastone. I “comuni” seguono a quel punto il Black Rod e lo Speaker della loro Camera fino alla Lords’ Chamber, dove si dispongono sul lato opposto della sala rispetto al trono. Abbiamo descritto un’anticaglia? No, si tratta invece di una delle massime espressioni dell’orgoglio nazionale britannico e , soprattutto, della sua solidità istituzionale. Particolare interessante: quest’anno la Regina Elisabetta si è recata a Westminster  a bordo di una nuova carrozza da parata, detta del Giubileo di Diamante, costruita con alcuni reperti unici della storia britannica. Fra questi i frammenti della Mary Rose, la nave da guerra di Enrico VIII, dell’albero di mele di Sir Isaac Newton, e parti dell’ammiraglia di Horatio Nelson, la Hms Victory. L’identità storica britannica è praticamente condensata in quel manufatto di elevatissimo pregio. Una cosa del genere in Italia ce la possiamo solo sognare. E dire che Buckingham Palace costa ai britannici meno di quanto, agli italiani, costa il Quirinale.

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