Pechino, la repressione del regime comunista colpisce anche le bambine a scuola

10 Set 2013 17:29 - di Sandro Forte

Repressione, violazione dei diritti, discriminazione, intolleranza e razzismo: nella Cina comunista sono all’ordine del giorno e non risparmiano nessuno, neppure i minori. La cronaca, filtrata attraverso le maglie della ferrea censura di regime, ci riferisce di due bambine, una di 10 anni e una di 6 anni, protagoniste e vittime di due episodi distinti. A San Francisco, negli Stati Uniti, è arrivata Zhang Anni, considerata la più giovane prigioniera politica in Cina. La bambina, di 10 anni, è la figlia del dissidente Zhang Lin, uno dei maggiori esponenti del movimento per la democrazia del 1989 nella provincia dell’Anhui, in galera da oltre tredici anni con l’accusa di sovversione. Era un esponente del partito China Democracy Party (Cdp), bandito nel 1998. Attualmente è in carcere proprio per le proteste messe in campo per permettere a sua figlia di andare a scuola. Lo scorso 27 febbraio, infatti, le autorità cinesi impedirono alla piccola di andare a scuola, tenendola in custodia per alcune ore. In aprile la protesta di una trentina di attivisti portò alla detenzione agli arresti domiciliari di tutta la famiglia. Zhang padre decise quindi di scappare per portare il suo caso a Pechino insieme alla figlia, ma entrambi furono presi e riportati a Bengbu, dove vivevano, con la promessa che niente sarebbe loro successo. Invece alla piccola Anni non è stato permesso di andare a scuola e per il padre si sono riaperte le porte del carcere, dinanzi al quale la piccola ha anche manifestato chiedendo la liberazione del genitore e la possibilità di tornare fra i banchi. Grazie all’interessamento di alcuni attivisti, tra i quali Hu Jia, Anni ha ottenuto dal consolato americano di Shanghai il visto ed è partita per gli Usa dove ora è ospite di una Ong.
L’altro episodio è avvenuto a Shanghai, dove alcuni abitanti hanno espresso rabbia e malcontento per la decisione delle autorità locali di consentire ad una bimba di sei anni, appartenente ad un’altra provincia, quella dello Shandong, di frequentare la scuola statale a Shanghai, dopo che il suo caso era stato sollevato in una trasmissione televisiva. Secondo quanto riferisce il quotidiano di Hong Kong “South China Morning Post”, molti genitori residenti nella capitale economica cinese si sono detti contrari alla decisione e hanno definito con disprezzo la bambina “una locusta”. Diao Qianwen, originaria della provincia dello Shandong, è stata allevata dai nonni a Shanghai. La madre l’ha abbandonata alla nascita e il padre è in carcere appunto nella provincia dello Shandong. Fino a qualche tempo fa tutte le scuole di Shanghai avevano rifiutato di accoglierla, adducendo sia la mancanza di un documento ufficiale che provasse lo stato di tutori legali dei nonni e sia il fatto che essi non avrebbero contribuito a pagare la quota del fondo di sicurezza sociale che è la condizione per l’iscrizione a scuola di ogni nuovo studente. E così Diao non poteva andare a scuola. Fino a quando un giornalista televisivo, venuto a conoscenza del caso, ne ha parlato durante la sua trasmissione, spingendo così le autorità a intervenire. La bimba finalmente è stata ammessa, ma per la gente di Shanghai questo viola le leggi locali e rappresenta un pericoloso precedente. «Mi sta simpatica la bimba, non ho nulla contro di lei – ha commentato un abitante della megalopoli su Weibo, il twitter cinese – ma cosa accadrà ora? Migliaia di figli dei migranti vorranno andare a scuola qua e toglieranno posto ai nostri figli che ne hanno diritto. Le classi sono già troppo affollate». Insomma anche nella patria del comunismo sono ben radicati razzismo e xenofobia.

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