8 settembre data infausta. Campi: fu la morte dello Stato più che della Patria. Serri: fu la data madre della partitocrazia

7 Set 2013 11:46 - di Redattore 54

8 settembre da rimuovere, 8 settembre da celebrare o da reinterpretare? Come sempre la ricorrenza di questa data controversa e per i più identificabile con la “morte della patria”, lascia spazio a riflessioni, anche provocatorie. Così lo storico Sergio Luzzatto in un’intervista a L’Espresso ha parlato di 8 settembre come data madre delle larghe intese. Togliatti, sottolinea, diventa il vice di Badoglio perché “è un realista e un fine politico. Contro i guastafeste, gli azionisti con la loro coerenza che implicava la rivoluzione, indica la via del compromesso, delle larghe intese…”. Fondamentale in questo contesto anche l’amnistia, che arriva nel 1946, “perché rende possibile l’interpretazione della guerra civile come uno scontro in cui ambedue i campi avevano commesso delle nefandezze”.

Non è molto convinto di questa interpretazione Alessandro Campi, storico del pensiero politico: “Io direi che l’8 settembre è una delle date, ma non quella fondamentale, che ci consentono di individuare la contrapposizione, la divisione, come una costante della storia nazionale. Fin dall’età comunale le lotte di fazione sono una costante di una certa antropologia nazionale. Il tasso di partigianeria che gli italiani manifestano sul piano della contesa politica interpretata come fatto di fede nasce da secoli in cui la politica è stata legata a consorterie e famiglie e quindi ai partiti. L’8 settembre è la data di un capitolo che stiamo ancora vivendo”. Come dire che gli italiani sono un popolo più incline alle risse che alle larghe intese. “Le larghe intese – continua Campi – hanno senso se il mettersi insieme determina un contesto costituente per ricostruire la comunità nazionale. Ma nelle larghe intese attuali questo elemento manca del tutto, è un governo che nasce da un fatto algebrico e non da una volontà comune”.

Meglio tornare , allora, alla categoria di “morte della patria” per dare una valutazione storica dell’8 settembre 1943. Purché però, avvisa Campi, si esca dall’ambiguità. “Quando Galli della Loggia parla di morte della Patria non intende un fatto sentimentale – spiega – ma fa riferimento al collasso del principio di sovranità, c’è una sorta di ritorno allo stato di natura di tipo hobbesiano. Neanche la Germania nazista collassa in quel modo, perché viene annichilita dal punto di vista militare. In Italia tutto il sistema, dal vertice alla base, precipita nel caos. Il sentimento di fedeltà allo Stato degli italiani è sempre stato molto lasco, e quell’evento ha avuto effetti devastanti nella ricostituzione del principio di autorità.

Per la saggista e docente universitaria Mirella Serri, autrice de I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte. 1938-1948 e de I profeti disarmati. La guerra tra le due sinistre, Luzzatto non sbaglia nel riferimento alla cultura ciellenista che si afferma dopo l’8 settembre anche se va tenuto presente che quella data ha molti aspetti e tutti molto complessi. Tra questi Serri ricorda un dato sottolineato dallo storico Giovanni Sabbatucci, e cioè il fatto che con l’8 settembre comincia la sostituzione dei partiti allo Stato, per cui la data si può leggere, più che come data madre delle larghe intese, come data di nascita della partitocrazia. “Venuta meno con la fuga del re ogni linea di comando e dunque di assunzione di responsabilità, non c’è nessuno che difenda il territorio nazionale dai tedeschi, alcuni esponenti dei partiti antifascisti si armano, la disorganizzazione fa evolvere la situazione in maniera ancora più drammatica per la popolazione civile e per i militari: nel nulla che si è creato sono i partiti a ricostruire”. Gli stessi partiti con le cui degenerazioni facciamo i conti ancora oggi.

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