Temi etici? No “femminicidio” e aggravante omofobia sono un’altra cosa

22 Lug 2013 19:23 - di Marcello De Angelis

In Italia è invalso un concetto assolutamente distorto dell’attività legislativa. Siccome era – fino all’esondazione delle funzioni regionali – l’unica attività per cui esisteva il Parlamento, i suoi membri sono finiti per credere che il loro lavoro sia quello di inventare continuamente leggi nuove o cambiare quelle esistenti. Così non avviene nelle altre democrazie, più efficienti e più serie. Va anche detto che ovunque nel mondo il nostro codice penale è considerato il più “ricco” di fattispecie e il più puntuale, tanto che alcuni ritengono che lo sia anche troppo. E mia assoluta convinzione che il lavoro del legislatore – perché abbia una valenza anche etica – deve tendere alla “semplificazione” in modo che la legge sia chiara e comprensibile e non soggetta a diverse interpretazioni, nonché alla “omogeneità nella sua applicazione”, perché la legge sia il più possibile “uguale per tutti”. Siccome è ovvio nella realtà che lo stesso reato – ad esempio un omicidio – può non essere sempre “uguale”, nel nostro codice sono già previste attenuanti e aggravanti (come quella per “motivi futili e abietti”) che variano notevolmente l’entità della pena e sono applicate abbastanza liberamente. Introdurne di nuove è quindi totalmente inutile e confusionario. Quando questo avviene le motivazioni sono eminentemente politiche, in senso strumentale. La legge Mancino che ipotizza reati di odio razziale è servita a rendere “esistente” il razzismo come categoria giuridica. La proposta aggravante per omofobia serve a “far esistere” l’omosessuale come categoria riconosciuta (e da proteggere) ai sensi di legge. E questo serve per avere una realtà legale a cui agganciare ulteriori proposte riguardanti  la categoria “omosessuali”, ad esempio in materia di matrimoni e adozioni. La categoria “omosessuale” non ha caratteristiche oggettive, assolute e permanenti. Si tratta di un comportamento, molto più che di un orientamento e come tale veniva – o addirittura in alcuni Paesi ancora viene – sanzionato dalla legge. Uno può insomma dire di essere omosessuale e nessuno può dimostrare che non lo sia, questa è la ragione per la quale non si può oggettivizzare legalmente. Nei Paesi in cui gli omosessuali godono dei benefici accordati alle minoranze razziali, abbondano i film umoristici in cui uomini etero si fingono gay per ottenere il posto di lavoro o altri benefici. Anche l’idea di codificare l’omicidio di una donna come reato diverso e più grave rispetto all’omicidio di un uomo è un’aberrazione giuridica, poiché implica che la vita di un cittadino di sesso femminile sia più “preziosa” di quella di un cittadino maschio, facendo così venir meno il principio di uguaglianza. A mio avviso, senza dei paraocchi ideologici che alterino la visione della realtà, è impossibile non giudicare contrari al sacro principio dell’uguaglianza dinanzi alla legge qualunque norma improntata alla “discriminazione positiva”, la discriminazione essendo – riguardo alla legge – solo e assolutamente negativa. Il Parlamento dovrebbe abbandonare una volta per tutte la “bulimia legiferandi” e impegnarsi seriamente per una maggiore e irreversibile semplificazione. Impegnarsi cioè perché la legge sia sempre più uguale per tutti e sempre meno soggetta a arbitri interpretativi, altro osceno problema della giustizia italiana, dove il “trattamento” dipende in modo veramente eccessivo dall’interpretazione individuale che diversi giudici danno delle norme e del proprio ruolo.

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