De Maistre, il controrivoluzionario che voleva frenare l’orgoglio della modernità

1 Mar 2013 11:14 - di Redattore 54

Nasceva duecentosessanta anni fa (1753) a Chambery uno dei più fieri avversari della modernità e della filosofia relativistica che ne è il contrassegno: Joseph de Maistre. Magistrato, massone, membro del Senato sabaudo, scrisse due delle opere più famose del pensiero reazionario, Sul Papa (1819) e Le Serate di San Pietroburgo (1821), uscito postumo. Ora, sarebbe eccessivamente riduttivo presentare de Maistre come il teorico che contrastò con tutte le sue forze intellettuali la Rivoluzione francese e l’illuminismo. In realtà numerosi punti del suo pensiero restano a tutt’oggi cruciali nella riflessione che l’uomo contemporaneo conduce e sulla propria libertà e sulla propria capacità di condizionare la storia.

Interessante è ad esempio il modo in cui De Maistre ricostruisce l’origine dell’individualismo, ovvero la pulsione a slegarsi dalla tradizione e dalla “ragione universale” per servire la ribellione della “ragione individuale”, rintracciandola nel libero esame del protestantesimo, portato alle estreme conseguenze dai filosofi inglesi come Bacon e Locke. L’illuminismo è per De Maistre una sfida a Dio giunta a un tale livello di radicalità da precipitare gli uomini nella più desolante solitudine. Di pari passo va la critica all’istanza metafisica della scienza non più fondata sulla collaborazione tra fede e ragione e ormai slegata dall’ordine universale. Se filosofia e storia cedono alle ragioni dell’orgoglio (matrice di ogni peccato) l’umanità si incammina perentoriamente verso la negazione del limite che coincide con la negazione del sacro. La fede nel progresso fa parte dell’inclinazione al peccato d’orgoglio perché va di pari passo con la svalutazione del passato. Una condizione in cui l’uomo non è davvero libro ma nuovamente schiavo del peccato originale.

Non meno importante fu la sua critica alle Costituzioni astratte, scritte a priori, mentre la Costituzione “è opera delle circostanze, ed il numero delle circostanze è infinito. Le leggi romane, le leggi ecclesiastiche, le leggi feudali, i costumi sassoni, normanni e danesi… tutte le virtù, tutti i vizi, tutte le conoscenze, tutti gli errori, tutte le passioni: tutti questi elementi, dunque confluendo insieme a formare con la loro mescolanza e reciproca unione combinazioni moltiplicate indefinitimente, hanno prodotto, dopo molti secoli, l’unità più complessa ed il più bell’equilibrio di forze politiche che si sia visto nel mondo…”. Un’analisi da cui si ricava quel principio di realismo che è stato nella modernità uno dei cardini del pensiero di destra.

E proprio in queste settimane in cui l’umanità cristiana attende l’elezione di un nuovo Papa vale la pena ricordare cosa pensava di questa figura De Maistre: senza il Papa il cristianesimo stesso si riduce a una credenza tra le tante, priva di potenza. Il Papa serve per mantenere l’unità della cristianità, anche nelle zone più periferiche. Il Papa è “il grande demiurgo della civiltà universale”.

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